Recovery Fund, i protagonisti: dal cattivissimo Rutte alla partita personale di Orban, Macron voleva di più, Merkel solidale

Recovery Fund, i protagonisti: dal cattivissimo Rutte alla partita personale di Orban
di Mario Ajello
9 Minuti di Lettura
Martedì 21 Luglio 2020, 08:18 - Ultimo aggiornamento: 17:08

Noi siamo i Puri, gli altri sono i Peccatori. Lo schema Rutte, il cattivissimo Mark, il frugalissimo premier olandese, non è molto complicato. E affonda in quell’etica del rigorismo protestante per cui c’è sempre uno scialacquatore papista - ma sarebbe meglio dire sudista - che pretende di comandare e di rovinare chi fa le cose con precisione e correttezza. E anche la Merkel, per Mark, è diventata più o meno una morbidona che chiude gli occhi davanti agli sprechi e alle pretese dei peggiori. Tra cui l’Italia. Ah, quanto era meglio - avrà pensato Rutte qualche volta in queste lunghe nottate di trattative - quando i tedeschi contro Roma mandavano direttamente i lanzichenecchi! Ma non ci sono più i teutonici di una volta. 

Soldi Ue, così li spenderà l'Italia: investimenti al 3% del Pil, spinta su sanità, scuola, green, digitale e auto
La fiducia ritrovata/ Quanto conta in Europa il fattore “credibilità”
Recovery fund, più fondi, meno veti: c’è l’accordo. E niente potere di veto


Ci sono invece, al Nord, tipi levantini come Mark che ha mostrato in questi 10 anni la capacità opportunistica di restare sempre al potere, alleandosi con destra, centro, ecologisti e sinistra. Perciò si è procurato il soprannome di Mister Teflon, per l’abilità a lasciarsi scorrere addosso tutto e il contrario di tutto. Lo troveremo, al prossimo vertice del consiglio europeo, nel taschino di Conte come nuova pochette? Per ora, non è aria: «Ho fatto ballare i Paesi del Sud, in questi giorni, e se non c’ero io chissà che cosa avrebbero combinato qui a Bruxelles», si vanta il cattivissimo Mark. Il quale ha come principale obiettivo quello di costruire un’Europa esclusivamente mercantile e assolutamente estranea ad ogni disegno di unione politica ed economica. Se il post-Covid impone discontinuità su tutto, Rutte crede invece che occorra cambiare il meno possibile. Con il rischio che stando fermi si affondi o meglio affondino gli altri, quelli che ai suoi occhi se lo meritano.
 
IMPERO ROMANO
Con Conte il corpo a corpo, specie nelle ultime ore, è stato fittissmo. «Giuseppe è un buon lottatore», concede Mark. E in una delle fasi più drammatiche l’altra notte il premier italiano ha detto al collega: «Se riesci ad abbassare la quota dei sussidi a fondo perduto, sarai l’eroe per qualche giorno in Olanda ma poi la pagherai agli occhi di tutti i cittadini europei». Lui ha fatto spallucce: «Chi vivrà vedrà». E comunque non è un tipo banale il cattivissimo Mark. E capisce, anche quando non le condivide, le gerarchie: basti pensare che quando si prende una pausa dalla sua frugalità va a mangiare con la sorella (è scapolo) nel ristorante italiano prediletto, dove ha anche invitato Conte: si chiama l’Impero Romano. L’aver poi intostato lo scontro con il premier italiano ha giovato a entrambi: perché si sono presi tutta la scena, e possono dire di aver vinto entrambi. 
Agli amici confessa: «Non è che sono cattivo, è solo che quello lì...». E quello lì sarebbe Geert Wilders, il rivale ultra-sovranista che Rutte ha in casa e che rischia di soffiargli il posto nelle elezioni del 2021 se Mark il frugale si mostra cedevole con quei Paesi che, Italia, Spagna, Portogallo e un po’ anche Francia, nell’ottica di certo fanatismo nordico sono un Club Med. Buoni al massimo per trascorrerci le vacanze e non come sono in realtà delle economie importantissime e produttive, cuore del pil europeo. 

CALVINISMO
Ha l’alterigia calvinista Rutte di ripetere che «la solidarietà non è gratis». E in quesrti giorni gli è stato ribattuto: «Lo sappiamo benissimo. Ma l’elasticità è d’obbligo e nell’interesse di tutti». In questo Mark - che intanto ha strappato un mezzo o un finto pareggio ottenendo sconti sul bilancio - sarebbe dovuto andare a lezione dal suo connazionale Erasmo da Rotterdam, l’europeista più precoce. E chissà se la prossima volta, visto che il tipo è imprevedibile, Rutte non si presenterà al consiglio dei 27 senza avere come adesso sulle labbra il totem delle «condizionalità» - che sono le nuove forme di redenzione da imporre ai Paesi finanziariamente ritenuti colpevoli - ma tenendo sotto l’ascella gli erasmiani Colloquia. 

Conte
Ha combattuto
e non ha perso


Qualche malumore dentro i 5 stelle, tra quelli che non gli sono amici, c’è: «Era partito per spaccare la schiena ai Frugali e invece sta raccogliendo pochino». Ma si è battuto Conte. E se non sarà un trionfatore, non si è rivelato nemmeno il classico italiano con il cappello in mano, oltre alla pochette. La battaglia contro il nemico esterno Rutte («Non ci piegherai») gli ha procurato l’appoggio di quasi tutti in patria (perfino quello di Berlusconi e di Renzi) e lo ha fatto salire nei sondaggi. Il problema dopo aver ottenuto un pareggio o una vittoria sarà il post-partita. Dovrà dimostrare di saper indirizzare nei settori giusti i fondi e di usarli non per motivi elettoralistici ma per riforme strutturali. Quanto al Mes, guai a rinunciarci.

Merkel
Vicina all’Italia
contro i Falchi


Frau Angela si è battuta, ha mediato ma non ha mai nascosto da che parte stava: da quella della ricostruzione dell’Italia e dei Paesi più colpiti dal virus da quella dell’Europa che o si fa davvero in uno spirito di solidarietà o a perdere non saranno solo i sudisti ma anche gli altri. Germania compresa. Perché se senza Europa gli olandesi non saprebbero dove vendere i tulipani, senza un’economia italiana forte per l’industria tedesca sarebbero problemi. Dopo il coraggio e la spinta iniziale però la Merkel ha appannato la sua leadership nel negoziato, finendo per rimanere impigliata nelle diatribe. Poteva battersi con più tenacia a favore dei sussidi a fondo perduto? Poteva la Cancelliera ma anche lei ha nel suo Paese e nel suo partito chi la pensa come i nordisti Frugali. 

Von der Leyen
Dura col Nord,
poco incisiva



Non credeva la presidente della Commissione europea che la battaglia sarebbe stata così sanguinosa. Non immaginava di dover trascorrere le nottate in piedi o seduta a fare da arbitro tra i 27 mentre sotto il tavolo e anche sopra tutti lanciavano calci e fendenti. In questa partita così hard, Ursula nei mini summit ha cercato di frenare gli ardori di Rutte. Addirittura dicendogli a un certo punto che «la dignità di ogni Paese va assolutamente rispettata e non mi sembra che stia accadendo sempre così». Ma in consessi come questo il presidente Ue gioca un ruolo secondario. Presente a tutte le discussioni, viene interrogato, consultato e propone (lo ha fatto sulla cifra dei contribuiti a fondo perduto) ma senza una reale capacità d’incidere. 


Sanchez
Moral suasion
sui socialisti


Molto brillante e combattivo nella prima fase del negoziato, poi è sembrato soccombere un po’ alla fatica e allo stress da nottatacce. Ma il premier spagnolo ha ha fatto perfettamente tandem con Conte e con Macron ed è stato prezioso nel lavorare ai fianchi, sottraendoli alle forzature di Rutte, i tre premier socialisti come lui di Svezia, Danimarca e Finlandia che pur restando nel gruppo dei Frugali a un certo punto hanno detto al collega olandese: «Non bisogna esagerare». Anche la Merkel si è avvalsa di Sanchez per questa sua opera di moral suasion presso i compagni scandinavi. Ha sfoderato insomma lo spagnolo le sue doti di professionista della politica, per aggirare lo scoglio del fronte del Nord. 



Michel
Diventa lui
il mediatore


Lo «stinto Michel», questo il soprannome del presidente del Consiglio Ue che non aveva mai brillato per brillantezza. Ma stavolta come mediatore è stato all’altezza del compito. Non ha fatto che proporre - o meglio che formalizzare ma non passivamente - sempre nuove forme di possibile accordo l’ex premier belga. Prima sul freno d’emergenza e poi sulla ripartizione tra prestiti e contribuiti a fondo perduto. Metti qui, togli là. «Così va bene, Mark?», ha detto Charles Michel al premier olandese ogni volta che con gli altri pensava di aver trovato una quadra. E Rutte: «Presidente, serve ancora uno sforzo». E il mediatore si rimetteva al lavoro. Senza guizzi ma con dedizione alla causa. Senza la grandezza di figure intense come fu Jacques Delors, ma i tempi sono questi. 

Macron
Asse con Angela
ma voleva di più


Con Rutte è stato il più ruvido. L’altra notte ha detto all’olandese: «Le tue impuntature mi ricordano quelle di David Cameron ai tempi del possibile referendum sulla Brexit. E hai visto che fine ha fatto Cameron». Però Macron era rigidissimo sui sussidi a fondo perduto, nel non voler scendere sotto la soglia psicologica dei 400 miliardi, venendo per altro da una vetta di 500, e invece ha dovuto abbozzare. Ma è un mezzo vincitore anche lui, perché l’insieme dell’accordo sembra far contenti tutti. Il rischio di Macron era quello di venire oscurato dalla Merkel, in quanto presidente di turno del semestre europeo e invece Emmanuel è riuscito a stare «mano nella mano» con la Cancelliera. L’asse franco-europeo però avrebbe potuto ottenere di più in una partita in cui i Frugali si sono rivelati attrezzatissimi. 

Kurz
Gioca da spalla
senza brillare


E’ stato il braccio destro di Rutte. Lui è Kurz, l’austriaco, il vice capo dei Frugali. L’idea migliore - dice ora il premier viennese - è stata quella di unirci tra noi Paesi più piccoli. Sennò l’asse franco- tedesco ci avrebbe stritolato. E così non è stato». L’idea di solidarietà europea e lo spirito comunitario non sono in cima alle esigenze di Kurz che, insieme agli altri Frugali, rappresenta meno del 10 per cento della popolazione continentale. E’ stato messo in ombra da Rutte l’austriaco ma gli va bene così. Se faceva troppo l’europeista i sovranisti di casa sua lo avrebbero attaccato e sarebbero più attrezzati per rubargli voti. Agli incontri cruciali, nei vertici ristretti in cui il corpo a corpo Frugali-Europeisti è stato più duro, Kurz non s’è visto. Perché non invitato. E ora ha semi-vinto senza troppo combattere.


Orban
Una partita
tutta personale


«Sto antipatico a Rutte e non so perché». E’ una delle frasi cult. L’ha detta Orban, e a sorpresa - ma neanche tanto - il premier ungherese ha sostenuto l’Italia. E anche la posizione di Merkel e di Macron. Come mai? Il suo obiettivo è avere in cambio un occhio di riguardo, da parte dei Paesi guida della Ue, a proposito delle accuse di scarsa democrazia interna che gli vengono rivolte. Non vuole censure ma coperture, e per questo Orban si è schierato in favore dei sussidi più larghi nel Recovery Bond. Rutte mesi fa ha chiesto sanzioni contro di lui perché «non rispetta lo Stato di diritto». E l’ungherese s’è vendicato. Spiazzando anche il suo sodale Salvini. Che quando ha visto che Viktor spalleggiava Conte non c’è rimasto bene. 




 

© RIPRODUZIONE RISERVATA