Recovery Fund, «I soldi per la funivia»: Il piano del Campidoglio al governo

Recovery Fund, «I soldi per la funivia»: Il piano del Campidoglio al governo
di Marco Simoni
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Venerdì 4 Settembre 2020, 09:57 - Ultimo aggiornamento: 12:05

Il Recovery Fund potrebbe essere oggi per Roma quello che fu la preparazione del Giubileo del 2000 negli anni 90. Ma quale è oggi l'idea, il progetto e la visione per la città? In vista del Giubileo la città degli anni '90 (...)
(...) fu spinta a rialzarsi da un decennio opaco per mettersi all'altezza del suo ruolo in un mondo allora pieno di speranza. Oggi il contesto è profondamente diverso, dobbiamo tutti rialzarci da una crisi mai immaginata. Dall'Europa è arrivata una risposta robusta e coraggiosa. Ma la città continua ad essere senza bussola e, se continua così, è destinata a mancare completamente l'appuntamento.

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Ho letto il documento si trova online anche se bisogna cercare un po' presentato dalla giunta capitolina al governo per accedere ai fondi europei. Non è un piano, non è una visione, è una lunga lista dei desideri. Si chiedono 25 miliardi per 159 progetti diversi che spaziano dalla creazione di un rating delle piccole e medie imprese, alla formazione innovativa in nuove professioni (sic), alla funivia Clodio-Monte Mario-Ponte della Musica. Non è purtroppo uno scherzo, il Comune di Roma chiede all'Europa i soldi, tra le altre cose, per la famosa funivia. Ma il Recovery Fund, o meglio il Next Generation EU non può essere ridotto a una burla su Internet, ma un fondamentale snodo della storia Europea, in cui lo sforzo finanziario collettivo deve corrispondere a una presa di responsabilità piena dei territori e delle città, che devono almeno provare ad essere all'altezza. E' un momento che definisce una intera generazione.
Lo diceva benissimo Alessandro Campi ieri su questo giornale. La rinascita di Roma passa per una nuova stagione di crescita economica che non arriva dalla sommatoria di tante voci di spesa slegate le une dalle altre, ma dalla nascita di nuove realtà, autenticamente innovative; dalla crescita e sviluppo di nuovi settori. Roma ha tante vocazioni, vere, serie, profonde. Non bisogna inventarsi idee strampalate, bisogna pensare programmi pluriennali, di dimensione e ambizioni adeguate, e poi eseguirli.
A Roma hanno sede università di qualità globale, imprese infrastrutturali che lavorano in tutto il mondo, le principali aziende energetiche d'Italia che sono anche tra le principali del mondo, settori avanzatissimi dell'areo-spazio e della farmaceutica sono a Roma o in territori limitrofi: la lista potrebbe continuare. E' tempo che le politiche urbanistiche, i piani di trasporti e viabilità, le politiche regolatorie e di incentivi, operino in maniera coordinata per favorire e rafforzare queste vocazioni esistenti. Non serve uno stato dirigista o un comune spendaccione, ma serve una regia e una vera definizione delle priorità, costruita a partire dalle competenze presenti in città.
A Milano nasce il tecnopolo nell'area Expo; a Napoli il moderno centro tecnologico di San Giovanni a Teduccio con imprese del calibro di Apple, Cisco e Ferrovie dello Stato. A Roma bisogna ambire allora a veder crescere non un solo polo, ma tre o quattro centri di gravità urbana che con strumenti finanziari e organizzativi nuovi puntino a favorire le vocazioni esistenti, perché possano cogliere tutte le loro potenzialità costruendo sulle forze già presenti.
A Roma potrebbe nascere il principale parco tecnologico sui temi della sostenibilità climatica e ambientale, facendo diventare la città un laboratorio della trasformazione green, dal ciclo dei rifiuti alla decarbonizzazione. Esistono già i piani di una cittadella delle arti e della musica. Su un tema contiguo: Netflix ha aperto una sede a Roma, ma cosa sta facendo la città per coadiuvare la mai sopita industria di produzione di Roma e per rafforzare il suo legame con i grandi circuiti globali, per diventarne una riconosciuta centralità. Sono solo esempi e sicuramente a chi legge ne saranno venuti in mente altri. Il punto è non pensare più a cosa succede tra sei mesi, ma concentrare gli sforzi (e le risorse del Recovery Fund) per la Roma che sarà tra dieci anni. Questa, in fondo, era la lezione della Roma che si preparava al Giubileo.

Marco Simoni*
*Luiss Business School
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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