Ora il centro comincia a fare gola a tutti. Perché è un agglomerato, fluido, da 149 parlamentari per il momento. E non è affatto poco, anzi è tantissimo per decidere chi andrà al Colle a febbraio e per dare, nel caso, una base alla prosecuzione di Draghi come premier anche successore di se stesso. Insomma il centro, araba fenice negli ultimi decenni, si ripropone ma in forme nuove e in una situazione tutta diversa visto lo scontro interno a Forza Italia. In vista della partita del Colle, manda messaggi al centro Enrico Letta, che tifa per il rafforzamento di quest’area e vuole dialogarci subito e poi anche in chiave post-elettorale e di governo, una volta che si andrà alle politiche. Ma ieri neanche tanto a sorpresa, considerate le sue origini democristiane, pure Crosetto, fondatore con la Meloni di FdI, ha detto al convegno a Sain Vincent dei centristi di Rotondi e di tutti gli altri scudorociati doc (da Cuffaro a Buttiglione): «Serve un centro forte nel centrodestra, sennò non siamo credibili». Ecco, se lo cominciano a litigare da tutte le parti il centro. E’ la zona cruciale per ogni passaggio, e sarà il perno di tutto se si dovesse arrivare a una legge elettorale proporzionale.
In Forza Italia divisa tra ministerialisti-draghiani e filo-salvinisti o cavalieristi («Berlusconi ha sempre ragione»), quelli del centro sono i primi: una trentina alla Camera e una ventina, su 55 senatori, a Palazzo Madama.
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I numeri
E però, adesso, è tutto diverso dai tempi di Angelino. Sono diversi i numeri. Ai 50 forzisti di centro, vanno aggiunti i 45 della truppa parlamentare di Renzi. E i 34 di Coraggio Italia (comprensivi del governatore Toti e di altre due rappresentanti regionali che saranno tra i grandi elettori per il Colle) e ancora: i 5 di Calenda, i 5 di Più Europa e - si calcola - almeno 10 nel Gruppo Misto tra tirolesi e altri autonomisti. In tutto, 149 tra deputati e senatori. L’elezione per il Colle sarà il riassunto di questa operazione ma poi bisognerà vedere se da questo nascerà un partito e se dal Palazzo partirà una scintilla in grado di accendere sui territori - il Sud privo di rappresentanza dopo la fine del grillismo e nel crepuscolo di Conte è il terreno privilegiato per il centro - un protagonismo esterno al bipolarismo centrodestra-centrosinistra inaugurato nel ‘94 e che l’avvento del governo Draghi sembra aver messo in crisi o comunque scompaginato.
Se è vero che la Sicilia resta il laboratorio della politica italiana, un occhio oltre Stretto fa rendere l’idea dei movimenti in corso al centro. Il berlusconiano Micciché e Renzi che fanno asse e «intesa strutturale», pasteggiano insieme e preparano una candidatura comune - azzurra e centrista, renzista e post-bipolarista - per l’elezione del sindaco di Palermo nella prossima primavera e per le regionali dell’autunno.
Osserva Osvaldo Napoli, di Coraggio Italia: «Mi stupisco che Berlusconi, Salvini e Meloni ignorino questa area moderata. Perché senza di questa Berlusconi al Quirinale non ci va». Letta invece vuole dialogare con il centro. Mentre sempre da Saint Vincent uno dei big renziani, Rosato, ha assicurato: «In corso d’opera la polemica tra Renzi e Calenda si attenuerà». Ma il problema del centro è proprio questo: troppe incompatibilità personali.
La rivalità
Basti pensare che mentre l’eterno Clemente Mastella lancia il suo nuovo partito Meglio Noi di Centro - presentazione a Roma il mese prossimo - Calenda al momento il più lanciato nel ruolo di federatore dice: «Tra Mastella e Meloni, Meloni tutta la vita!». Ma magari il federatore sarà proprio Berlusconi. Il cui Piano B è esattamente questo: se fallisce il suo avvento al Quirinale - e nei calcoli che ogni giorno fa, mettendo e togliendo, include i centristi senza sapere che molti di loro saranno franchi tiratori - prenderà la guida del centro europeista e draghiano, per passare alla storia come uno di coloro che hanno guidato la seconda Ricostruzione italiana, quella post-Covid e Pnrr. Forza Italia ancora una volta dipende dalle scelte del Cavaliere, ma anche se Gelmini e Carfagna assicurano che «la battaglia si fa dentro il partito», il partito mai come adesso fatica a stare insieme.