Draghi e l’ipotesi Quirinale: «Il governo deve lavorare, è il Parlamento a decidere»

Draghi e l ipotesi Quirinale: «Il governo deve lavorare, è il Parlamento a decidere»
di Marco Conti
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Giovedì 30 Settembre 2021, 07:24 - Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 18:00

«È abbastanza offensivo nei confronti del Presidente della Repubblica in carica cominciare a pensare in questo modo. Non sono la persona giusta a cui fare la domanda». La replica un po' seccata di Mario Draghi alla domanda che ricorda le affermazioni del ministro Giancarlo Giorgetti, rivela quanto sensibile sia l'argomento che, a cinque mesi dalla scadenza del mandato di Sergio Mattarella, rischia di gettare sull'esecutivo un'immagine di precarietà.
All'ipotesi del suo approdo al Quirinale il presidente del Consiglio risponde ricordando che «è il Parlamento che decide della vita, dell'orizzonte e dell'efficacia di questo Governo. Se diventasse non efficace - sottolinea Draghi parlando con il ministro dell'Economia Daniele Franco alla sua sinistra - perderebbe la sua ragione d'esistere. Il governo - sottolinea - si consuma quando lavora soltanto per restare» il che «non è un'ipotesi di questo governo, che sta facendo il suo lavoro. Il resto non conta niente, non sono io la persona a cui fare queste domande».

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Complicato pensare che la risposta metta fine a quello che sta diventando un vero e proprio tormentone.

Anche perché, come ricorda Matteo Renzi, «chi entra Papa esce cardinale come nel conclave» e «anche l'ultima volta il nome di Mattarella fu tenuto nascosto fino all'ultima settimana. Io suggerirei di evitare di parlare di nomi». Un invito, quello del leader di Iv, rivolto soprattutto ai tifosi che rischiano, secondo Renzi, «di non fare un buon servizio» allo stesso Draghi. Resta il fatto che l'argomento è stato riproposto di recente, e con una certa enfasi da uno dei ministri più vicini al presidente del Consiglio.

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Nei ragionamenti di Giancarlo Giorgetti, titolare del ministero dello Sviluppo economico, si coglie però una speranza, quella di Draghi al Quirinale, ma anche una preoccupazione sul probabile sbocco elettorale anticipato che rischia di mettere in forte crisi anche l'attuazione del Pnrr e gli impegni con l'Europa. Poiché è impossibile che Draghi possa rimanere a Palazzo Chigi «tutta la vita», come vorrebbe Giorgetti, il problema si pone per le forze politiche che sorreggono la maggioranza che devono soprattutto decidere se andare al voto anticipato, visto che Draghi ieri ha fatto anche capire che non resta a Palazzo Chigi solo per galleggiare.
Qualche indicazione in più sugli orientamenti dei partiti si avrà dopo il voto amministrativo di domenica. Per ora l'unica che ha iniziato a parlare chiaro è l'opposizione. Giorgia Meloni ha detto «no» ad un secondo mandato per Mattarella, ricordando come lo stesso Capo dello Stato si sia espresso più volte in maniera contraria.

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La leader di FdI potrebbe anche favorire l'ascesa di Draghi al Colle qualora avesse la certezza del voto anticipato e su questa linea potrebbe intercettare l'impazienza di diversi leader di partito di maggioranza che però devono fare i conti con gli eletti. Se è vero che «l'interesse del Paese è mandare Draghi al Quirinale», come dice Giorgetti, per avere un personaggio di spicco in grado di rassicurare l'Europa e gli investitori, elezioni anticipate e il rischio di un nuovo caos post voto, potrebbe però essere percepite in maniera opposta. Per evitare una transizione soft servirebbe quindi avere un governo pronto, magari guidato dallo stesso Giorgetti. Un modo per tranquillizzare anche quel 90% di parlamentari che sono pronti a tutto - anche a non votare tra cinque mesi Draghi - pur di evitare l'interruzione della legislatura.

 


LA FAGLIA
Comunque sia il premier, evocando il Parlamento, mette la questione nelle mani dei partiti che sorreggono la maggioranza. E lo fa nel giorno in cui presenta, insieme al ministro Franco, la Nota di Aggiornamento al documento di economia e finanza, e snocciola dati e percentuali che confermano il buon lavoro del governo. Il tema sarà anche «prematuro», come sostiene il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ma sta già tagliando al loro interno tutte le forze politiche che sorreggono la maggioranza. Ha cominciato il centrodestra dividendosi tra chi vorrebbe Draghi e chi invece - alla quarta votazione - intende scrivere il nome di Berlusconi. Ma soprattutto taglia i partiti al loro interno tra coloro che vogliono «Draghi al Quirinale per poi andare a elezioni anticipate», come dice Di Maio attribuendo tale intenzione al centrodestra. In realtà nella Lega il partito del Nord, composto dai ministri e i governatori, non sono sulla linea di Salvini. Così come accade dentro FI. Una faglia che spacca anche il M5S, con Conte favorevole al voto anticipato, e il Pd di Letta che deve fare i conti con Base riformista che ha già messo le mani avanti chiedendo un congresso per non essere tagliata fuori dalle liste.
 

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