Quirinale, la partita è aperta: Draghi resta in silenzio e la palla passa ai partiti

Linea attendista del premier, che non chiude alcuna porta. Si cerca un’intesa

Quirinale, la partita è aperta: Draghi resta in silenzio e la palla passa ai partiti
di Alberto Gentili
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Sabato 13 Novembre 2021, 07:21 - Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 05:57

«Il Quirinale? Bisogna prima capire cosa vuole fare Draghi...». Non passa giorno senza che qualche leader politico, da Matteo Salvini a Giorgia Meloni, da Silvio Berlusconi a Giuseppe Conte, da Enrico Letta a Matteo Renzi, non si interroghi sulle mosse del presidente del Consiglio per la Grande partita del Colle che dovrebbe scattare il 18 gennaio. E questo mega-quiz si è fatto ancora più insistente e compulsivo da giovedì sera, da quando Sergio Mattarella si è chiamato fuori una volta per tutte dalla partita del Quirinale, rendendo chiaro che il suo no al bis non era tattico. Ma irreversibile: un secondo mandato, a giudizio del capo dello Stato, sarebbe una forzatura costituzionale.

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Perché è vero che Giorgio Napolitano l'accettò nel 2013, ma quella fu un'eccezione. E se un'eccezione si ripete, diventa prassi. Incostituzionale, appunto. Dunque, evaporato il piano B, scomparsa l'opzione di appellarsi a Mattarella chiedendogli il sacrificio di restare, gli occhi sono tutti puntati su Draghi.
Eppure, da ciò che filtra tra chi è a stretto contatto con il premier o ci ha parlato negli ultimi giorni, Draghi non muoverà un dito.

Non dirà, né sono disponibile a fare il capo dello Stato. Né dirà no grazie. Insomma, il più accreditato successore di Mattarella sceglie una strategia attendista. Temporeggia.

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«Una scelta non certo tattica», dice un'autorevole fonte di governo vicina al premier, «ma di rispetto istituzionale. Chiedere al presidente del Consiglio di sciogliere la riserva è una sciocchezza, il Quirinale non è mica un incarico esplorativo per formare un esecutivo. Tutto dipende dal Parlamento. E nessuno nella storia Repubblicana si è presentato al Paese dicendo: Eccomi qui. Chi è stato tentato di farlo è finito male. L'unica cosa che potrebbe dire sarebbe, no grazie. Ma Draghi non lo farà per senso di responsabilità...». Perché, se saltasse ogni ipotesi di accordo su un altro candidato condiviso, «una convergenza sul suo nome potrebbe salvare governo e legislatura».
«SERVE UN CANDIDATO COMUNE»
Non è casuale l'accenno al governo. Nei Palazzi delle istituzioni, dal Quirinale a Chigi, cresce l'allarme. L'indicazione-appello alle forze che sostengono Draghi è di convergere su un candidato comune.

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«Se la maggioranza che sostiene Draghi si rompesse in occasione delle votazioni per il nuovo capo dello Stato», dice un'altra alta fonte dell'esecutivo, «il governo il giorno dopo non ci sarebbe più: è ingenuo chi crede che in caso di spaccatura, con una parte della maggioranza che vota il nuovo Presidente e l'altra che ne esce sconfitta, si potrebbe andare avanti come se nulla fosse. Con il patto di maggioranza lacerato sulla questione chiave del Quirinale, o si farà un altro governo senza Draghi, o più probabilmente si andrà a elezioni anticipate». In sintesi: «Il dibattito che si sta sviluppando è lunare perché tutto puntato su Draghi. Il problema non è capire cosa vuole fare lui, ma cosa intendono fare Letta e Berlusconi, Conte e Di Maio, Giorgetti e Salvini. Se continuano ad auto-assolversi dalla responsabilità di eleggere compattamente il prossimo capo dello Stato, convergendo su un candidato unitario, salterà tutto».

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Chiaro il messaggio: se la domanda è la stabilità, questa passa attraverso la salvaguardia del patto di maggioranza in occasione delle votazioni per il Quirinale. Va da sé che la conclusione di questo ragionamento, in assenza per ora di un altro candidato comune, riporta a Draghi: «Chi meglio del presidente del Consiglio, attorno al quale si è saldato il governo di tutti, potrebbe essere il candidato di tutti per il Colle?». Non a caso la moglie Serenella avrebbe confidato al suo barista, come rivelato da Un giorno da pecora: «Sì, sì, Mario mi ha detto che sicuramente farà il Presidente».
Di certo, c'è che cresce anche il pressing affinché Draghi resti a palazzo Chigi. Per completare il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che, si teme, orfano del premier rischierebbe di arenarsi innescando un disastro epocale. E per scongiurare il rischio delle elezioni anticipate in quanto, è il ragionamento, una volta che Draghi dovesse traslocare al Quirinale il voto nella prossima primavera sarebbe pressoché inevitabile. In questa impresa di persuasione nelle ultime ore si sono lanciati in molti. Con un ragionamento identico a quello fatto ieri dal presidente emiliano Stefano Bonaccini: «Se Draghi sarà il candidato di tutti sarà un onore poterlo votare. Ma egoisticamente mi piacerebbe vederlo fino alla fine della legislatura presidente del Consiglio perché sta svolgendo un grande lavoro». Un lavoro, però, che potrebbe essere fermato dal mancato accordo di maggioranza sul Colle.
Per questo perfino Salvini dice di lavorare per avere un «Presidente che rappresenti tutti». La ministra forzista Mara Carfagna scommette sulla capacità del «Parlamento di trovare un equilibrio». E il responsabile della Salute, Roberto Speranza, auspica «una maggioranza più larga possibile». Letta, invece dribbla la questione: «Di Quirinale si parlerà a gennaio, anche perché non ho mai visto il presidente della Repubblica scelto con mesi di anticipo. Ora è solo chiacchiericcio». Già, la partita vera comincia tra più di due mesi. E questa volta, al contrario che nel passato, nessun schieramento avrà i voti per eleggere da solo il nuovo capo dello Stato. Terreno fertile per l'appello alla «stabilità».
 

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