Ecco il piano del Nord: smantellare i ministeri. Le bozze segrete di Veneto e Lombardia

Ecco il piano del Nord: smantellare i ministeri. Le bozze segrete di Veneto e Lombardia
di Andrea Bassi
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Domenica 10 Febbraio 2019, 08:43 - Ultimo aggiornamento: 19:45
La parola utilizzata è «ridimensionamento». I ministeri romani dovranno dimagrire. E non si tratta soltanto di un effetto collaterale del progetto autonomista di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, ma di una richiesta messa nero su bianco nelle riservatissime bozze predisposte dalle Regioni d'accordo con il ministro degli Affari regionali, l'esponente veneto della Lega Erika Stefani. «Sono ridimensionate in rapporto ai compiti residui», si legge nell'articolo 4 delle intese di Veneto e Lomardia che saranno discusse domani in un vertice tra i presidenti di Regione e lo stesso ministro, che il Messaggero ha potuto leggere, «le amministrazioni statali centrali in proporzione alle funzioni e alle risorse trasferite». Il riordino delle amministrazioni statali, spiega lo stesso articolo 4 delle bozze di intesa, dovrà avvenire entro quattro mesi dall'entrata in vigore della legge di approvazione delle intese per l'autonomia. Il Consiglio di Stato avrà 30 giorni per esaminare il taglio delle funzioni dei ministeri, poi i provvedimenti saranno trasmessi alle Camere che, a loro volta, avranno soltanto un mese per dare un parere. Decorso il termine il regolamento che ridimensiona i ministeri sarà approvato con il meccanismo del silenzio-assenso.

La Capitale, insomma, rischia un colpo mortale. Anche perché le risorse e le funzioni che soprattutto Veneto e Lombardia chiedono sono decisamente rilevanti. A cominciare dai 200 mila dipendenti della scuola, che da soli si portano dietro otto miliardi di euro di risorse attualmente gestite dallo Stato centrale. Alle Regioni, secondo le bozze d'intesa, passeranno da subito i dirigenti scolastici che finiranno in un ruolo creato ex novo. Così come nei nuovi ruoli finirà tutto il personale di nuova assunzione sia a tempo determinato che indeterminato. Ma rispetto alle indiscrezioni della vigilia c'è una novità importante: i professori e il personale non docente attualmente in carico allo Stato, potrà decidere se rimanere nei ruoli del ministero dell'Istruzione oppure passare a quelli della Regione. È questo il vero grimaldello per svuotare il dicastero romano di competenze e risorse.

I CRITERI
La separazione delle ricche Regioni del Nord è certificata soprattutto dalle questioni finanziarie. Veneto e Lombardia tratterranno sul territorio una parte del gettito Irpef (ed eventualmente di altre imposte), o avranno un'aliquota regionale da far valere sempre sulla stessa base imponibile (ossia a parità di tasse). Inizialmente quanta parte di imposte trattenere sarà determinata sui costi storici delle risorse umane e strumentali trasferite. Ma entro un anno dovranno essere determinati dei «fabbisogni standard» che entro altri cinque anni dovranno divenire il «parametro di riferimento» delle risorse da trattenere nelle Regioni. E questo parametro, dicono le bozze di accordo, andrà calcolato «in relazione alla popolazione residente e al gettito dei tributi maturati sul territorio regionale». Significa che quanto più la Regione è ricca tante più risorse avrà a disposizione per i suoi servizi. Ma c'è di più. L'eventuale variazione del gettito maturato nel territorio della Regione grazie ai tributi compartecipati rispetto a quello che sarà riconosciuto attraverso i fabbisogni standard, sarà di competenza della Regione. Significa che se Veneto o Lombardia hanno ottenuto più soldi del reale costo dei servizi, quei maggiori fondi resteranno nelle loro disponibilità e non torneranno allo Stato centrale. Così come sia la Lombardia che il Veneto chiedono mani libere sul Fisco.
Vogliono cioè, il pieno controllo delle tasse locali, la possibilità di decidere le aliquote, il controllo del prelievo sulle automobili e anche quello sui fondi pensione. Le due Regioni pretendono anche di potersi separare dallo Stato per quanto riguarda tutte le regole sul pareggio di bilancio previsto dall'articolo 81 della Costituzione, decidendo da sole il contributo da dare ai conti pubblici nazionali. Roma, insomma, finirebbe per essere sempre più distante. E più piccola.
 
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