La chiave è la flessibilità nell’impiego dei fondi del Pnrr, da riorientare anche a sostegno delle imprese. Una formulazione messa nero su bianco nelle conclusioni del Consiglio europeo di febbraio, come contropartita per bilanciare la netta apertura Ue sul fronte degli aiuti di Stato che favorisce le economie Ue più forti (a cominciare dalla Germania), e ampia abbastanza da tenere dentro sia i ritocchi ai Pnrr, sia i nuovi capitoli di RePowerEU a valere sui prestiti finora non richiesti (che l’Italia ha già fatto sapere a Bruxelles di voler utilizzare). È da questo binario che passa il treno che trasformerebbe le risorse “scoperte” del Recovery Plan, legate a progetti di complessa realizzazione, in incentivi per le imprese, come evocato ieri dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi in un’intervista con Il Messaggero.
Carlo Bonomi: «Pnrr, i fondi “residui” vadano alle imprese. E il Mes è da cambiare»
«La nostra proposta è destinare buona parte delle risorse che rimarrebbero “scoperte” verso incentivi all’investimento per le imprese, che sono di rapida attuazione di più sicuro impatto sul Pil, senza modificare le regioni di destinazione delle risorse», ha spiegato Bonomi al nostro giornale.
Il governo Meloni, si apprende da palazzo Chigi, è sulla stessa linea di Confindustria, d’accordo con la destinazione dei cosiddetti fondi “residui” a incentivi per gli investimenti delle imprese con impatti positivi sulla crescita, sulla scia di quanto pattuito dai leader dei Ventisette. La lente di Roma si sofferma in particolare sui progetti relativi alla doppia transizione, ecologica e digitale, contenuti nel piano Transizione 5.0, che l’esecutivo intende finanziare attraverso l’integrazione del capitolo RePowerEU, che dopo l’estate potrà beneficiare della redistribuzione delle ulteriori risorse non richieste dagli altri Paesi. Ma non solo. Con il benestare della Commissione e in nome della flessibilità nell’impiego dei fondi Ue, altri finanziamenti si possono recuperare - ragionano ancora al governo - dai fondi di coesione residui non ancora spesi del precedente ciclo di programmazione europea 2014-2020; il che aiuta anche sul fronte della rendicontazione, perché, essendo formalmente al di fuori della cornice Pnrr, possono essere impiegati oltre la scadenza del 2026 e sui progetti che hanno dimostrato di essere più ostici. In questo caso, inoltre, trattandosi di stanziamenti per lo sviluppo regionale, verrebbe mantenuta la specifica destinazione territoriale, a beneficio - calcolano i tecnici dell’esecutivo - dell’80% circa di imprese del centro-sud e del 20% del nord.
IL DIALOGO
Dopo il doppio rinvio di febbraio e marzo, la terza tranche di pagamenti dal valore di 19 miliardi di euro è stata staccata, e nel dialogo tra Roma e Bruxelles si volta già pagina per guardare ai 27 obiettivi da centrare per sbloccare la quarta rata (16 miliardi) entro fine giugno, tra cui il superamento delle criticità evidenziate sui nuovi asili nido. In questa direzione, nelle scorse settimane, era arrivata anche la mano tesa delle partecipate statali, pronte a fare la loro parte, “assorbendo” alcuni dei progetti di difficile realizzazione, per evitare il rischio che l’Italia si faccia trovare impreparata alle prossime scadenze e perda quote importanti dei futuri assegni semestrali del Pnrr.