Elezioni, da Sala a Brugnaro perché il “partito dei sindaci” può fare la differenza

In vista delle elezioni politiche di settembre i partiti puntano sui primi cittadini per conquistare consensi trasversali nei collegi

In vista delle elezioni politiche di settembre i partiti puntano sui primi cittadini per conquistare consensi trasversali nei collegi
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Lunedì 25 Luglio 2022, 11:30 - Ultimo aggiornamento: 26 Luglio, 19:41

Riformisti ma vicini alle tradizioni del loro terra. Pragmatici, quanto basta, eppure abili mediatori. Ma soprattutto, mai troppo a destra, né troppo a sinistra. 
È questo l’identikit del partito dei sindaci, oggi corteggiato dai politici, in vista delle future elezioni di settembre. A loro guarda soprattutto il Pd lettiano e il grande Centro, che ancora stenta ad assumere contorni ben definiti. Perché se è vero che la legge elettorale favorisce le coalizioni ( come quella di centrodestra) e la riduzione dei seggi in Parlamento richiederà ai parlamentari di rappresentare un numero ben più ampio di elettori, ai primi cittadini - che dal basso hanno acquisito notorietà e guadagnato secondi mandati - il confronto con il territorio non fa paura. Anzi. 

E' sul loro inscalfibile capitale di credibilità, che i partiti in crisi puntano per conquistare consensi transversali, indispensabili per vincere. Già a novembre scorso, il leader dem, animato dai timori di un possibile voto anticipato, alla vigilia della possibile salita al Colle di Mario Draghi aveva lanciato l'idea del partito dei sindaci, che avrebbe fatto il suo esordio alle successive elezioni politiche: «Sappiamo - aveva detto Letta - di avere il 70% sindaci ma abbiamo il 20% nel paese e dobbiamo cercare di vincere le politiche». 

Ma alla vigilia della direzione nazionale che si terrà domani, il leader Pd è tornato a giocare la carta degli amministratori locali.

E' a loro riuniti in videocall venerdì scorso ha chiesto di scendere direttamente in campo. E cioè di candidarsi in prima persona alle elezioni, visto l'avvicinarsi della scandenza  - per molti di loro - del secondo mandato. 

Ma ai sindaci guarda con interesse anche il titolare della Farnesina, Luigi di Maio: «i nostri primi interlocutori - aveva detto ai giornalisti riuniti all'hotel Bernini Bristol a Roma - saranno i sindaci, la prima vera interfaccia dello Stato negli anni della pandemia e della guerra». Quindi, non un partito personale, ma un progetto più grande, che leghi liste civiche, governatori e sindaci, nel solco dell'agenda Draghi. 

Tra le più ambite figure ci sarebbe il sindaco di Milano, Beppe Sala, tradizionalmente vicino al Pd, ma che nelle ultime elezioni ha deciso di correre con il logo con su scritto il proprio nome. Per poi passare ad essere additato come possibile federatore di una colazioni di centro, per via dei frequenti incontri con il ministro Luigi di Maio. Ma è più probabile che il primo cittadino di Milano, che più volte ha esplicitato la volontà di rimanere dov'è (anche per la recente riconferma) punti a un appoggio esterno, non entrando in campo direttamente. 

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In prima linea, per una possibile candidatura, invece, c'è l'ex primo cittadino di Parma, Federico Pizzarotti, eletto in quota 5 stelle e poi furiuscito dal Movimento. In un suo post su Facebook, la sua proposta civica per le politiche: «io penso che servirebbe una 'lista civica nazionale', per mobilitare le migliori energie delle nostre comunità». Un'idea, quella dell'ex sindaco di Parma, con la parvenza di progetto politico, ma che potrebbe ben attecchire nel campo del centrosinistra, all'indomani della vittoria alle Comunali di Parma.

E poi il caso Torino, con la coppia di avversari Lo Russo - Damilano, ambita dai reciproci schieramenti. A un anno dalla vittoria delle comunali, Stefano Lo Russo canta vittoria, per aver respinto il tandem con il M5S, risultato fallimentare a livello nazionale. E sembra auspicare per un'aperitura del Nazareno a quelle componenti che intorno al PD possono coaugulare un progetto di Paese, «sia quelle di sinistra che possono più di altre rappresentare le istanze sociali che ci sono e sono molto presenti, sia altre componenti di quel corpo elettorale che si sente orfano di un quadro che possa sviluppare un'azione europeista, atlantista, che guarda alla ripartenza del Paese».

Tra gli ex sindaci sostenitori dell'Agenda Draghi ci sarebbe anche Paolo Damilano, che da solo a Torino ha incassato il 13% dei consensi e che, dopo l'abbandondo del centrodestra, è tornato a bacchettare i partiti politici per la crisi di governo: «Per quelli che lavorano a elezioni anticipate: siete sicuri che gli italiani vi premieranno per aver lasciato senza capitano una nave in tempesta?».

Non chiare ancora le mosse del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro che avverte: «resto in Veneto» ma si muove affinché la sua creatura, Coraggio Italia, possa avere uno spazio nel prossimo Parlamento, magari con altre alleanze al Centro. 

In casa dem, infine, a storcere la bocca, di fronte al pressing del segretario a lasciare con due anni di anticipo il governo della loro città, ci sarebbero il primo cittadino di Firenze, Dario Nardella, e quello di Bari, Antonio Decaro, che starebbe ancora «valutando al momento».

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