La ministra Bonetti: «Ridare socialità ai giovani, non si educa solo a scuola»

La ministra Bonetti: «Ridare socialità ai giovani non si educa solo a scuola»
di Alberto Gentili
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Domenica 23 Maggio 2021, 03:50 - Ultimo aggiornamento: 24 Maggio, 10:22

Ministra Bonetti, è stato appena approvato il nuovo piano nazionale per l’infanzia e l’adolescenza. Quali novità introduce e come cerca di mitigare e rimediare ai danni della pandemia sui ragazzi?
«Il piano è un patto educativo del Paese nei confronti delle giovani generazioni. Prevede tre linee di azione - educazione, equità ed empowerment - e la sua novità è già nel metodo, perché rimette al centro i bambini e i ragazzi. Con l’Osservatorio per l’infanzia e l’adolescenza abbiamo ascoltato la loro voce con questionari e focus group, dopo che a causa della pandemia questa voce era stata loro tolta. Abbiamo riconosciuto la centralità di tutta l’azione educativa, non solo quella offerta dalla scuola ma anche dal terzo settore. Le parole d’ordine sono concretezza e monitoraggio continuo dei risultati: si fissano obiettivi generali e linee di azione misurabili, a partire dagli asili nido, indicati come livelli essenziali di prestazione. In tutte le comunità, e penso anche ai piccoli comuni, si creeranno spazi per l’educazione non formale: sport, cultura, luoghi di incontro. Con un’attenzione particolare agli adolescenti, che sono stati duramente penalizzati durante la pandemia».


Per equità cosa intendete?
«Vanno rivisti gli strumenti per contrastare la povertà materiale dei nuclei familiari con i minori. Qui ci sono alcuni elementi di diritto, come il tema dell’alimentazione e delle mense scolastiche, così come il diritto alla salute integrale, che copre anche il benessere psicologico. E il diritto di accesso agli strumenti digitali».


E sull’empowerment, la conquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte?
«In tutti i contesti educativi, ma anche decisionali, è necessario introdurre e ascoltare la voce dei ragazzi. Che non sono “i cittadini di domani”: sono cittadini già oggi. Bisogna metterli in condizione di avere consapevolezza di sé, dei propri diritti e delle regole del vivere sociale, a cui possono dare il loro contributo. Bambini e adolescenti devono essere coinvolti direttamente nella co-progettazione delle azioni che li riguardano, come è accaduto appunto per la prima volta con questo Piano nazionale per l’infanzia e l’adolescenza».

Sta per terminare un anno scolastico quasi tutto in dad. Che estate sarà per i ragazzi?
«Le comunità territoriali, il mondo dell’associazionismo, del terzo settore, del volontariato, della cultura e dello sport si stanno organizzando per offrire ai bambini e ai ragazzi occasioni ed esperienze educative - i cosiddetti centri estivi - con un approccio di pieno coinvolgimento. È il mondo dell’educazione non formale chiamato a raccolta: per questo progetto abbiamo stanziato 135 milioni».


Affida al terzo settore un ruolo essenziale.
«Sì, è questa la chiave.

Nel nostro Paese il terzo settore è un soggetto protagonista dell’educazione, insieme alle famiglie e alla scuola. È arrivato il momento di riconoscere per legge il valore dell’educazione non formale e che il terzo settore ne fa parte a pieno titolo, offrendo non solo sostegno e assistenza, ma un lavoro diretto e qualificato sui giovani. E questo contributo fondamentale va reso strutturale con finanziamenti ad hoc».


E’ appena stato pubblicato uno studio sull’impatto del Covid sugli adolescenti. Che quadro disegna?
«Abbiamo dati devastanti di perdita di fiducia in sé e negli altri, che ha portato ad alcune degenerazioni, all’autolesionismo, ad un aumento dei disturbi alimentari. I centri di neuropsichiatria infantile hanno avuto una crescita significativa degli accessi. Per questo sono importanti misure come il sostegno psicologico nelle scuole e l’aumento delle risorse per i servizi di psicologia e neuropsichiatria rivolti ai giovani, che abbiamo previsto nel Sostegni Bis. Ma ora dobbiamo restituire a bambini e ragazzi i loro luoghi di socialità, in cui possano incontrarsi, prendere la parola e fare esperienze insieme. Devono poter rielaborare la fatica della pandemia che hanno vissuto nel silenzio, in realtà virtuali, nella solitudine, e noi con spirito di servizio dobbiamo accompagnarli, come ha detto il presidente Draghi, ad acquisire fiducia nel loro futuro».


In questi giorni è tornato d’attualità il tema del cognome delle madri ai figli. 
«È un tema di libertà - quella di poter scegliere di dare il cognome ai propri figli - e di eguaglianza. Ed è un passo per consegnare alla storia il nome delle donne, che la storia la fanno da protagoniste insieme agli uomini».
 

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