Mes, Di Maio telefona a Conte. Ultimatum Pd: d'ora in poi reagiremo

Mes, Di Maio telefona a Conte. Ultimatum Pd: d'ora in poi reagiremo
di Simone Canettieri
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Mercoledì 4 Dicembre 2019, 07:47 - Ultimo aggiornamento: 09:43

Dopo il gelo, la telefonata. Anzi le telefonate, ma anche i messaggi. Ieri Luigi Di Maio e Giuseppe Conte hanno avuto una lunga serie di contatti. E a fine serata il ministro degli Esteri non ha nascosto la soddisfazione per un risultato che sembra ormai dato per acquisito: sul Fondo Salva Stati ci sarà un rinvio. Un supplemento di riflessione, la possibilità di negoziare ancora o, perlomeno, si cercherà di fare in modo che la decisione slitti e che l'Italia non si esponga subito. Il tutto in una logica di pacchetto con le altre riforme al vaglio della Ue, a partire dall'Unione bancaria. Il senso delle parole che Di Maio ha detto a Conte è: «Noi, come M5S non possiamo fare passi indietro».

Mes, Conte tratta per il rinvio. I leader M5S: «Noi ago della bilancia»

E non solo perché Matteo Salvini è pronto a montare sulla polemica con grande agilità. Ma perché questo tipo di battaglia è un cavallo identitario del Movimento. Non a caso l'asse con Alessandro Di Battista va proprio in questa direzione. Ora, bisogna fare una distinzione nella consueta rappresentazione che viene offerta dei grillini. Il partito, con Di Maio, era pronto anche a far saltare il governo e andare allo scontro con Conte, la pancia dei parlamentari pentastellati nemmeno per sogno. «Il leader M5S è stretto tra chi, nel gruppo, non scende dalla trincea e dall'ala che si potrebbe definire «contiana», quella cioè che vorrebbe toni più morbidi e meno «salviniani». «Nel merito il Mes va cambiato, ma certe parole sono dannose», confessa un parlamentare. Qualcuno ricorda come il testo dell'intervento letto ieri in Aula da Francesco Silvestri sia stato troppo poco «governativo».

Le truppe, ovvero i 300 parlamentari, continuano a vivere una situazione surreale. Alla Camera, da due mesi ormai non si riesce a eleggere il nuovo capogruppo. Anche i candidati che finora si sono sfidati iniziano a sfilarsi. Segno che la partita ha perso anche appeal: anche perché secondo le regole del gruppo servono 109 voti e nessuno riesce mai a toccare questa quota. Dunque con la manovra che presto approderà a Montecitorio c'è il capogruppo vicario Silvestri e il direttivo dimissionario perché scaduto a gestire la finanziaria e i rapporti con gli alleati.

LE TENSIONI
Ma queste sono temi interni. Di Maio ora è interessato a dare un messaggio forte all'esterno. E visto che la miglior difesa è l'attacco il leader grillino ha in mente di trasformare il M5S in un Movimento a «sei punte».

Ovvero sei attaccanti che con lui gestiranno la fase 2 dei pentastellati. Accompagnati dai 12 facilitatori tematici. Nella cabina di regia ci sarà Di Battista, ma molto probabilmente anche Paola Taverna. E poi c'è chi vorrebbe in campo il presidente della Camera Roberto Fico, ma anche quello che dell'Antimafia Nicola Morra (che oggi riunirà di nuovi i ribelli a Palazzo San Macuto) o Max Bugani in quota Rousseau per non parlare degli ex ministri con il dente avvelenato (da Toninelli a Lezzi, passando forse per la Grillo).

Il Pd continua a guardare tutte queste fibrillazioni interne alla maggioranza con un crescente fastidio. La parola d'ordine al Nazareno è: «D'ora in poi non faremo sconti e risponderemo colpo su colpo». Un modo per avvisare che la pazienza sta per finire, insieme ai continui richiami alla responsabilità citati un giorno sì e l'altro pure dal segretario dem Nicola Zingaretti. I fronti aperti, dalla prescrizione al Mes, non mancano. Anzi, basta che il sole sorga e subito spunta un altro attrito. Il clima non di poca fiducia è palpabile dalle parti del Pd nei confronti degli altri partner di governo. Non solo verso i grillini, ma anche nei confronti di Italia Viva e dei renziani. Non a caso al Nazareno giudicano le minacce velate di Iv con una chiave diversa: «Dicono che vogliono la crisi, minacciano la maggioranza solo perché puntano a trattare le nomine che scatteranno l'anno prossimo».

Quando ci saranno da rinnovare cioè i vertici delle principale aziende di Stato, le big five.

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