Meloni: c’è una via italiana. Proposta entro giugno. La strada è l’elezione diretta del premier

La linea di Giorgia: opposizioni divise, senza accordo andiamo avanti da soli

Meloni: c’è una via italiana. Proposta entro giugno. La strada è l’elezione diretta del premier
di Francesco Malfetano
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Mercoledì 10 Maggio 2023, 00:09 - Ultimo aggiornamento: 08:39

 Giorgia Meloni lo chiama «modello italiano». Attorno alla premier però già lo definiscono «modello Meloni» per le riforme. E cioè, per usare le parole della stessa presidente del Consiglio al termine delle consultazioni con l’opposizione di ieri, no a «soluzioni preconfezionate» e «dialogo aperto» con tutti ma «niente dilazioni». Tradotto: il governo prova e proverà a tenere una postura istituzionale impeccabile e a collaborare con l’opposizione, qualora dovesse latitare l’ampia condivisione auspicata ai leader alternatisi al tavolo della Biblioteca del Presidente, a Montecitorio, il governo però tirerà dritto. Che si tratti dell’oggi più apprezzato premierato o del meno condiviso presidenzialismo, la premier giura «Non verrà meno agli impegni», ribadendo che le sue priorità sono dare «stabilità» agli esecutivi futuri e «rispettare il voto dei cittadini». 

Il cruccio principale di Meloni del resto sono i tempi.

Evitare cioè che l’azione riformista finisca schiacciata nei meandri delle bicamerali, impolverata dagli ultimi affannati mesi dell’esecutivo o annacquata dalle «posizioni variegate» dei partiti. E quindi anche se al tavolo si fa buon viso a cattivo gioco quando Giuseppe Conte - apprezzatissima dalla premier la preparazione con cui il leader 5S si è presentato - chiede l’istituzione di una commissione ad hoc con un primo benestare del Terzo Polo, e anche se si valuta la possibilità che questa possa nascere davvero ma con tempi contingentati per disinnescare ogni tentativo di melina, la premier è in realtà già convinta che la proposta «non regga». 

I TEMPI

Il ritmo «deve essere tenuto alto» spiega chi segue da vicino il dossier. Anche per non dare alla Lega ulteriori motivazioni per provare a svincolare l’Autonomia differenziata dalla Riforma. E così nonostante l’agenda meloniana si infittisca sin da subito di appuntamenti internazionali (oggi a Praga in visita di Stato, settimana prossima a Reykyavik per il Consiglio d’Europa e poi in Giappone per il G7) e in calendario ci siano ulteriori consultazioni con i corpi intermedi e gli enti locali, l’obiettivo che si cercherà di centrare resta la presentazione di una prima versione del testo entro la fine di giugno. Auspicabilmente senza «deragliare in un percorso a senso unico» precisa chi ieri era accanto alla premier. Meloni in pratica ha davvero in mente di elaborare una proposta che tenga insieme le diverse sensibilità delle minoranze. Tant’è che la valutazione della premier è assolutamente «positiva», in primis perché - al netto di qualche dichiarazione belligerante - tutti i partiti hanno compreso l’importanza di essere presenti al tavolo. «Nessuno si è tirato indietro» confida, soddisfatta, ai suoi, sottolineando anche come si siano trovate «convergenze impensabili». Non è solo il caso di Elly Schlein - con cui la premier prima si è irrigidita per una certa chiusura e poi si è intrattenuta a chiacchierare, con tanto di abbraccio finale - quanto anche dell’Alleanza Verdi-Sinistra italiana.

Riforme, Meloni e l'obiettivo premierato: la strategia della convergenza e la tentazione decisionista

Pur criticando aspramente ogni iniziativa, tanto verso il presidenzialismo quanto verso il premierato, il duo Bonelli-Fratoianni ha presentato «proposte interessanti sulla legge elettorale», arrivando a concordare sul fatto che «un voto ogni tre mesi» (incluse le amministrative chiaramente) non sia accettabile. Così come lo è il susseguirsi di un nuovo esecutivo «ogni anno e mezzo». «L’instabilità è alla base di molti problemi che ha la nostra Nazione - spiega infatti ai giornalisti - perché indebolisce inevitabilmente i governi, li ostacola, e ci indebolisce a livello internazionale». Se l’Italia «negli ultimi vent’anni ha avuto svariati governi», la Francia ha avuto «quattro presidenti della Repubblica» e la Germania «tre cancellieri». Il risultato? Il loro Pil è cresciuto almeno tre volte più del nostro. «Più un governo ha un orizzonte breve - conclude - più tenderà a spendere in spesa corrente e a non fare investimenti di lungo periodo». Il senso della riforma voluta da Meloni in fondo è tutto qui. 

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