«Siamo determinati a sconfiggere la tratta responsabile di questa tragedia». Alle 18.30 Giorgia Meloni varca la soglia adombrata del cortile del Municipio di Cutro. Tredici giorni e molte polemiche dopo il naufragio che ha restituito 72 cadaveri alla costa calabrese, la premier sembra intenzionata a mettere un punto politico alla vicenda. «Non accetto che si dica che ci siamo girati dall’altra parte» è infatti una delle frasi di esordio. Per farlo però non offre a giornalisti e cittadini né una visita sulla spiaggia né una commemorazione delle salme. L’idea è un’altra: fornire la sintesi del decreto appena varato dal primo Cdm in trasferta del suo esecutivo e l’immagine di una squadra compatta. «Questo è un segnale concreto» dice.
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LE NORME
Tant’è che le norme sono quasi in toto quelle annunciate: stretta su trafficanti e scafisti, con pene fino a 30 anni per chi causa più morti in mare, porte aperte agli ingressi legali con il decreto flussi che diventa triennale, potenziamento della rete dei Centri per i rimpatri, compressione alla protezione speciale con un mini-ritorno ai decreti sicurezza salviniani e, sempre con una mossa cara al ministro dei Trasporti, la cosiddetta “norma anti-Soumahoro” contro la mala-gestione dei centri di accoglienza.
LA CONFERENZA
È l’ultimo atto ufficiale di una conferenza stampa complicata, in cui il dettaglio delle norme illustrate - assieme al duo leghista - dai ministri Lollobrigida, Nordio e Tajani scivola in secondo piano. A prendersi la scena sono infatti le parole della premier. Non tanto quando preconizza «Solidarietà non è farli entrare tutti per poi lasciarli ai semafori a pulire i vetri. Solidarietà è dare a chi arriva le stesse possibilità», oppure quando, esagerando, dice che il governo andrà «a cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo». Piuttosto quando prova a scendere nel dettaglio di quella tragica notte. A quel punto infatti alla premier viene a più riprese contestata dai giornalisti presenti la ricostruzione offerta della tragedia. Meloni inciampa su orari, distanze dalla costa e ruoli dei soccorsi. Il sottosegretario Alfredo Mantovano le corre in aiuto con qualche precisazione. Gli altri ministri guardano gli smartphone o chattano. Piantedosi ricorda che è tutto depositato alla Camera. La tensione si fa evidente e allora Meloni attacca. «Pensate davvero che il governo ha volutamente lasciato morire qualcuno?», è la domanda che pone a ripetizione. «No» è la risposta dei cronisti, specie quelli calabresi. «Ci sono anche dolo e imperizia» però le spiegano in quello che sembra diventato un dibattito. Lei torna conciliante, usa il “tu” per una giornalista: «Il nostro compito è cercare soluzioni ai problemi - dice - e il modo migliore per onorare le vittime è fare ciò che si può perché le tragedie non si ripetano».
Il clima però, all’interno del municipio di Cutro, non migliora. La conferenza è finita e i cronisti si avvicinano al tavolo da dove la premier ha parlato. Qualche ministro prova a dissuaderla ma Meloni non si sottrae al confronto. Uno scambio rapido che si conclude quando le chiedono «Perché non è andata al Palamilone?», dove si trovano le bare dei migranti. La presidente del Consiglio sembra spiazzata. Provata. «Ho finito adesso» dice quasi giustificandosi, «ma ci sarei andata». È un assedio, e il governo fatica a gestirlo, almeno fino a quando la segretaria di Meloni chiede al capo dell’ufficio stampa di «fermare i giornalisti».
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