Giorgia Meloni la sobria, Salvini Stra-Matteo: la campagna delle destre segue due spartiti opposti

Meloni si impone l'aplomb della statista, Salvini punta sui messaggi estremi e sui social

Giorgia Meloni la sobria, Salvini Stra-Matteo: la campagna delle destre segue due spartiti opposti
di Mario Ajello
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Giovedì 28 Luglio 2022, 06:29 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 22:49

ROMA «Se vi chiamano populisti non vi offendete, ma sappiate che non è vero». È quanto va ripetendo Giorgia Meloni ai suoi. E bastano queste parole lapidarie per capire qual è la cifra che la leader di FdI sta dando alla sua campagna elettorale e con quale stile vuole presentarsi all'ingresso di Palazzo Chigi se dovesse entrarvi. Nessuno sbarco populista, posatezza e serietà di contenuti, massima affidabilità occidentalista e evitare le «promesse a vanvera». Soprattutto: differenziarsi, proprio sulla base di queste intenzioni e di un aplomb auto-imposto (ma non sarà facile tenerlo fino alla fine, visto che «ci attaccheranno in tutti i modi da dentro e da fuori dell'Italia» e i falli di reazione potrebbero non mancare), rispetto al format scelto da Matteo Salvini per la sua cavalcata verso il 25 settembre. Se lei, per evitare inciampi, ha deciso di attenersi a una comunicazione misurata - «Hai un tale vantaggio che tu per prima devi evitare che questo vantaggio si assottigli», è il consiglio che le viene dato anche da comunicatori esterni al partito e da amici esperti nel ramo - lui, il capo leghista, ha deciso di fare come sempre StraMatteo: comunicare h24 su tutti i canali, inondare di sé social e tivvù, e già da subito ha cominciato a subissare i 5 milioni di follower della sua pagina Fb personale con sei post al giorno di media molti di più di chiunque altro ma meno della metà rispetto ai bei tempi in cui imperversava la Bestia.

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L'interazione degli utenti con i suoi post è bassa, ma in compenso i suoi video vanno forte. Lui esagera, lei si contiene. Lui esonda, lei no. Se andassero d'accordo, la diversità di approccio alla campagna elettorale potrebbe sembrare un gioco di squadra: e invece non lo è. Salvini deve recuperare centralità e forza, e ribaltare i sondaggi. Con un repertorio che però è sempre quello. Dunque, il viaggio a Lampedusa il 4 e 5 agosto. Le bordate contro il ministro Lamorgese. La condotta da ex e futuro ministro di polizia. E in più, come sempre, la personalizzazione della campagna nel senso del parlare di sé, del proprio corpo e anche di quello degli altri: «Io sudo perché lavoro tanto, Letta non suda perché non si sbraccia...», «Mi sono tagliato la barba per una scommessa con Berlusconi....». E il Papeete? Difficile che dalla festa della Lega a Cervia, che si svolge lì accanto allo stabilimento di Milano Marittima e domenica la star sarà proprio il segretario, non faccia un salto allo stabilimento del suo amico e europarlamentare Massimo Casanova se non altro per vedere l'effetto che fa.

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La Meloni viceversa ha un piano di uscite, tra interviste e altro, molto poco estemporaneo. È rimasta bruciata dall'intervento estremista al congresso della destra spagnola Vox, dove ha ammesso di aver esagerato e infatti «non lo rifarei», è si propone di stare ben attenta a non fare altri inciampi comunicativi. E a cercare, viceversa, messaggi rassicuranti. Quello da «partito produttivista» - tasse, lavoro eccetera - e capace di rassicurare e di rivolgersi trasversalmente agli elettori, anche quelli medio-alti che si sono trovati bene nel periodo Draghi. Tranquillizzare e non spaventare. Una comunicazione di questo tipo le serve non solo per abbassare il livello di allarme che la sua crescita e il possibile ingresso a Palazzo Chigi destano in Italia e all'estero, ma anche perché l'immagine è sostanza. Certo il ricorso al vittimismo non mancherà - «La sinistra sta muovendo urbi et orbi i suoi think tank contro FdI» - ma il vittimismo fa parte del gioco di tutti e un po' paga sempre. Soprattutto però c'è il tentativo della Meloni di recuperare i danni che certe predicazioni del passato hanno arrecato al suo partito (l'idea di Soros come il grande burattinaio nemico dei popoli, un anti-europeismo che effettivamente non riguarda più il primo partito della destra italiana e il più forte nei sondaggi generali) e che rendevano questa parte politica oggetto di notevoli resistenze.
LE GRIDA
L'operazione di rassicurazione è quella insomma con cui la Meloni gioca la partita di questi due mesi. Chi insieme a lei, e sono pochi, ragiona non solo di strategie politiche ma anche di sostanza culturale e di posizionamento comunicativo di FdI racconta di un partito che vuole proporsi come garanzia di stabilità istituzionale e che è ben conscio della drammatica situazione economica e sociale che si troverà ad affrontare se Giorgia dovesse andare a Palazzo Chigi. Altro che destra lepenista o salviniana insomma. Salvini invece fa Salvini: il torrente in piena, irrefrenabile con le sue madonne esibite in tivvù e iper-promettente: «Toglieremo l'Iva su pane e pasta e prodotto alimentari di prima necessità», è il suo ultimo grido di battaglia. E anche Giorgia grida ma ha deciso di non volerlo fare troppo.
 

 
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