Meloni, Salvini, Berlusconi: chi sale e chi scende dopo le Regionali e le parole del Cav su Zelensky. I nuovi equilibri nel centrodestra

Il successo a valanga di Fratelli d'Italia c'è stato, sulla scia del voto del 25 settembre. Ben oltre quota 30% nella doppia corsa per il Pirellone e la Pisana

Meloni, Salvini, Berlusconi: chi sale e chi scende dopo le Regionali e le parole del Cav su Zelensky. I nuovi equilibri
di Francesco Bechis
4 Minuti di Lettura
Martedì 14 Febbraio 2023, 13:27 - Ultimo aggiornamento: 15 Febbraio, 00:14

Oneri e onori. All'indomani dell'en-plein alle Regionali in Lombardia e Lazio, per Giorgia Meloni si pone un cruccio. Gestire la vittoria. Salvaguardare gli equilibri nella maggioranza.

Non sarà una passeggiata. Numeri alla mano, Lega e Forza Italia però escono dalla tornata regionale meno malconci del previsto. Il successo a valanga di Fratelli d'Italia c'è stato, sulla scia del voto del 25 settembre. Ben oltre quota 30% nella doppia corsa per il Pirellone e la Pisana. Eppure Matteo Salvini e Silvio Berlusconi possono tirare un sospiro di sollievo.

SALVINI IN SALVO

In Lombardia, il "Capitano" leghista porta a casa un risultato, 16,5%, che supera il trend delle politiche in una Regione chiave per la leadership futura del segretario. Sommato al 6% della lista Fontana, il Carroccio sfiora quota 23%, un passo dietro FdI. Un bottino sufficiente per calmare i bollori della base leghista in Regione, ancora scottata dal sorpasso (con raddoppio) dei meloniani alle politiche di settembre.

La Lega c'è, tiene e torna perfino a salire lì dove più ha vacillato.

E Salvini da parte sua può guardare con un po' più di fiducia al temuto Congresso regionale della Lega in Lombardia, previsto per la fine della primavera, dove i fedelissimi del leader andranno alla conta. Da un lato i salviniani, dall'altro gli sfidanti interni.

A partire dai nostalgici della Lega nordista - riuniti nel Comitato Nord di Umberto Bossi - che dalle Regionali lombarde escono assai indeboliti. Dall'ex segretario della Lega lombarda Paolo Grimoldi all'eurodeputato Angelo Ciocca, hanno apertamente sfidato la leadership di Salvini, il progetto di una Lega nazionale, da Nord a Sud, l'alleanza con il centrodestra a trazione meloniana. Al punto da immaginare uno strappo in Regione per sostenere Letizia Moratti, la candidata del Terzo Polo reduce da un deludente 10% alle urne. Se il redde rationem lombardo ci sarà, di certo non è imminente

 

FORZA ITALIA REGGE

Per Forza Italia, il bilancio è di chiari e scuri. In Lombardia, un magro raccolto: 7%. Non proprio un exploit nella Regione che per decenni è stata cuore pulsante del berlusconismo. L'operazione Moratti, l'ex sindaco di Milano e ministro un tempo bandiera di Forza Italia, non avrà avuto il successo sperato ma è comunque riuscita nell'operazione disturbo dell'elettorato azzurro. Di qui il responso stringato delle urne lombarde che inevitabilmente avrà ripercussioni sulle ambizioni forziste per il Pirellone (a partire dagli assessorati: FdI concederà la Sanità?) e un po' si riverserà sul partito lombardo in Forza Italia che ha guidato la campagna elettorale. Il cerchio magico del Cav ospite un giorno sì e l'altro anche di Villa San Martino che vede in Licia Ronzulli il suo volto più riconoscibile. 

E a Roma? Qui i conti sono diversi. Nel Lazio la pattuglia azzurra dietro a Francesco Rocca porta a casa un 8%, un risultato migliore delle politiche. Ben al di sotto del 14% raccolto nel 2018, ma comunque non il crollo verticale pronosticato da alcuni osservatori e a un soffio da quanto ottenuto dalla Lega, che in Regione si ferma all'8,5%. In altre parole, nel Lazio il partito ha tenuto e qui a tirare un sospiro di sollievo sono i riferimenti forzisti in Regione, dal leader Antonio Tajani al vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri. 

LA PRUDENZA DEL PREMIER

Fin qui il bilancino del voto. Lo stesso che ora la premier dovrà usare per gestire i nuovi rapporti di forza nel centrodestra e una leadership sempre più ingombrante della sua creatura FdI certificata per la seconda volta in quattro mesi.

L'esultanza istituzionale, nella veste di premier più che di capo-partito, «questo risultato rafforza l'azione del governo», ha detto ieri Meloni, assente al Comitato elettorale di Rocca per un'influenza, è il segno di una prudenza non casuale. In questa chiave va letto anche il silenzio di Meloni - fatta eccezione per una tempestiva nota di Palazzo Chigi - di fronte al can-can scoppiato per l'ennesima uscita filorussa di Silvio Berlusconi e il nuovo attacco al "signor Zelensky". Ci hanno pensato i ministri più vicini alla premier, dallo stesso Tajani ai meloniani Lollobrigida e Crosetto, ad archiviare in fretta il caso. Perché un caso rimanga, e niente più. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA