Meloni: «Noi pronti a governare il Paese da filo-atlantisti»

La leader di FdI ha aperto la convention. Obiettivo: lanciarsi come candidata premier. «Bisogna istituire un ministero del Mare». I saluti romani? «Sono gesti antistorici»

Meloni punta al governo: «I veri europeisti siamo noi»
di Claudia Guasco
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Sabato 30 Aprile 2022, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 09:09

Suona l’inno di Mameli, la pedana si illumina di blu. Giorgia Meloni in giacca dirigenziale sale sul palco sventolando la bandiera tricolore e va dritta al punto: «Ci faremo trovare pronti, con proposte serie e le persone giuste al posto giusto. È il nostro tempo». Forte di un partito al 21%, in grado di dettare le condizioni nella coalizione di centrodestra, lancia la sua corsa da candidata premier nel 2023. «Siamo stati gli unici a organizzare una conferenza programmatica mentre tutto cambia. Siamo stati i primi a tornare tra il popolo con Atreju, ora in mezzo a una tempesta vogliamo essere i primi a indicare la rotta», annuncia. E per farlo sceglie Milano, «la capitale produttiva, anche per rispondere alle accuse di non avere una classe dirigente adeguata a governare». Una critica che «sappiamo essere ridicola, e scusatemi se dissento visto che abbiamo gestito una pandemia con Speranza ministro della Salute e affrontiamo una guerra con Di Maio agli Esteri». Ma «non abbiamo problemi a rispondere e lo faremo in questa tre giorni».

Responsabilità 

Nella convention di Fratelli d’Italia, rampa di lancio per abbandonare l’opposizione e governare il Paese, la leader Giorgia Meloni non lascia nulla al caso.

Riunisce i 4.600 delegati tra i grattacieli di City life, organizza dibattiti con economisti, filosofi e imprenditori esterni al partito. Per dimostrare di essere alla guida di una destra capace di assumersi la responsabilità di guidare il Paese, pronta a rispondere alle richieste del mondo produttivo snervato prima dal Covid e ora dalla crisi energetica. Ma anche credibile a livello europeo, i cui ideali «sono stati mortificati». La Ue, sostiene, «si è presentata all’appuntamento con la storia senza politica estera, impreparata alla gestione della crisi umanitaria, con una catena di approvvigionamento troppo lunga. Nessuna nazione rispetta l’accordo della Nato di spendere in difesa il 2% del proprio pil. Così ha scelto di farsi difendere dagli Stati Uniti ed è sbagliato, perché non sempre gli interessi sono sovrapponibili e in questo noi siamo più europeisti di tanti soloni di Bruxelles». Giorgia Meloni futura premier prende le distanza dal passato, ieri mattina ha partecipato alla commemorazione di Sergio Ramelli stigmatizzando i saluti romani: «Sono gesti antistorici, l’ho detto tante volte». E spinge la sua squadra, composta da «uomini capaci, competenti e sinceri, vogliamo arrivare in vetta e più saliremo più sarà nostra responsabilità tenere i piedi piantati per terra». Una capacità che l’Italia si merita perché «ha pagato un prezzo altissimo all’improvvisazione e nell’epoca delle grandi incertezze non te la cavi con i like sui social, l’unico antidoto all’imprevisto è la visione». E dalla platea sale un’ovazione quando si infervora: «Uno non vale uno, è un’idiozia che ha permesso a gente che non vale niente di arrivare al governo». Per la leader di FdI «è il tempo del necessario ritorno al reale, che è il campo dei conservatori. Trasformeremo questa epoca infame in un nuovo Risorgimento italiano». Spiega che la globalizzazione senza regole ha fallito e ci ha reso tutti molto più deboli. «Chiediamo a Draghi di prendere questa sua autorevolezza che sta in cantina, spolverarla e andare in Europa per chiedere di rivedere le priorità del Pnrr, in modo da intervenire sugli effetti della crisi: bisogna tenere in equilibrio la sostenibilità ambientale con quella sociale». E ancora: «Serve un ministero del mare» per «difendere i balneari» e «un investimento sui porti». Giorgia Meloni parla per più di un’ora, affronta la questione ucraina - «Se capitolasse il vero vincitore non sarebbe Putin ma la Cina» - e avverte il presidente Usa Joe Biden: «Non faremo i muli da soma dell’Occidente. La grande sfida per il futuro è tornare padroni del nostro destino». Ma nemmeno un accenno alla coalizione, nella quale la tensione è alta e i rapporti al minimo storico.

La coalizione

Silvio Berlusconi e Matteo Salvini non sono stati invitati, lei e il capo della Lega non si parlano da tre mesi e ora lui cerca uno spiraglio nella convention: «Faccio gli auguri a Giorgia Meloni. Penso che solo uniti si vince e siccome sarò anche io a Milano, conto di andarla a salutare». A chiudergli la porta ci pensa Ignazio La Russa, vicepresidente del Senato: «Sarebbe un controsenso per noi e per lui. Questa è una manifestazione di partito per cui siamo lieti se vengono i capigruppo ma sarebbe stato un fuor d’opera far venire e non far parlare i leader degli altri partiti. Quando faremo una cosa del genere tutti insieme, ci saremo tutti».

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