Archiviare una volta per tutte le «guerre di dominio e di stampo neo-imperialista», come quella scatenata da Vladimir Putin in Ucraina. Dichiarare «una guerra globale e senza sconti», invece, «ai trafficanti di esseri umani», gli «schiavisti del terzo millennio». Giorgia Meloni ha limato le parole fino all’ultimo, penna in mano.
L’appello
Di fronte all’Assemblea generale dell’Onu, i grandi del mondo, la premier italiana si fa coraggio.
Fra le righe c’è un messaggio all’Europa che nicchia di fronte al dramma del Mediterraneo. E insieme una sferzata a quelle Nazioni, come la Russia, che sul caos africano hanno messo la firma. Di qui l’appello. «Davvero un’organizzazione come questa, che afferma nel suo atto fondativo “la fede nella dignità e nel valore della persona umana” può voltarsi dall’altra parte di fronte a questo scempio?», si chiede la premier. «Davvero questa Assemblea, che in altri tempi ebbe un ruolo fondamentale nel debellare definitivamente quel crimine universale che era la schiavitù, può tollerare che torni oggi sotto altre forme», o «consentire ai trafficanti di stabilire chi abbia diritto a salvarsi?». È un crescendo. Meloni rivendica il lavoro del governo italiano. Chiede all’Onu di unirsi. Al “piano Mattei” per l’Africa, la roadmap per una cooperazione economica «paritaria» con un continente che «non è povero, ma ricco di materie energetiche». Al «processo di Roma», la rete diplomatica italiana nel “Sud globale” di cui la premier si fa portavoce alle Nazioni Unite auspicando una riforma del Consiglio di sicurezza «che esca dall’assetto cristallizzato all’esito di un conflitto concluso ottant’anni fa». Ne ha parlato a tu per tu con il segretario generale Antonio Guterres, cui ha esposto il piano per costruire nuovi hotspot per migranti in Africa, a partire dalla Libia. Temi che finiranno al centro dell’imminente presidenza italiana del G7. A New York Meloni incontra alcuni dei leader nella regione e per farlo abbandona anzitempo una storica riunione del Consiglio di sicurezza. Il presidente del Ruanda Kagame, dell’Algeria Tebboune, del Malawi Chakwera. Lo schema è uno: investimenti in cambio di controlli e sicurezza. Una è anche la missione: garantire a tutti «il diritto a non emigrare, a recidere le proprie radici».
Il manifesto
Ecco che affiora, nelle parole della timoniera della destra italiana, un manifesto identitario. Nell’era dell’Intelligenza artificiale, dalle cui derive Meloni mette in guardia, «non può essere una zona franca, senza regole» altrimenti rischia di avere «effetti devastanti sul mercato del lavoro», la grande sfida è «rimettere al centro l’uomo», dice la premier citando papa Giovanni Paolo II. Insieme all’uomo, riprende, al centro devono tornare «i due elementi che danno senso a questo luogo: da una parte le Nazioni, che rispondono al bisogno naturale degli uomini di sentirsi parte di una comunità», dall’altra «lo strumento della ragione». È una ricetta indigesta, punge Meloni con lo sguardo ai suoi avversari politici a Roma e Bruxelles, per chi vorrebbe «un mondo senza confini e senza identità». L’Italia, la sua, «ha scelto chiaramente da che parte stare».
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