Meloni-Berlusconi, tensione nella coalizione. Oggi l'incontro a Roma, prove d'intesa

Giorgia e il rastrellamento nazifascista nel Ghetto di Roma: «Giorno tragico, ferita insanabile»

Meloni-Berlusconi, oggi il vertice a Roma: «Risolleviamo l’Italia»
di Francesco Bechis
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Lunedì 17 Ottobre 2022, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 09:06

Doveva essere un week-end di tregua. E la tregua è stata siglata. Se a matita o a penna, si vedrà oggi. Silvio Berlusconi incontrerà Giorgia Meloni. Non ad Arcore e neanche a Villa Grande. Ma a Roma, a via della Scrofa, quartier generale di Fratelli d’Italia. A confermare il vertice, previsto per le 16, sono i due leader dopo una telefonata ieri pomeriggio. Eccolo, il passo avanti atteso fino all’ultimo minuto. Che è anche un passo verso Palazzo Chigi e la nascita del governo di centrodestra. 

Meloni-Berlusconi, i figli Marina e Piersilvio in campo: «Ora dovete ricucire». La via d'uscita nel totoministri

Si fa in discesa la strada che porta all’incarico del Quirinale a Meloni, prima premier donna della storia repubblicana.

Merito (anche) dei pontieri scesi in campo negli ultimi due giorni per ricucire uno strappo tra la leader di FdI e il fondatore di Forza Italia che ha tenuto con il fiato sospeso l’intera coalizione. In tanti si sono prodigati, da Antonio Tajani a Salvini, da Guido Crosetto fino al leader dei centristi Maurizio Lupi. Perfino in casa Berlusconi, dove i figli Marina e Pier Silvio, raccontano, tifano per l’armistizio. «La Lega guarda con estremo ottimismo all’incontro», la nota del Carroccio in serata. L’obiettivo è «rispondere alle aspettative degli italiani con buonsenso, responsabilità e serietà». 

LA MISSIONE

La missione è una sola: archiviare l’incidente d’aula di giovedì, quando Ignazio La Russa è stato eletto presidente del Senato senza i voti azzurri e Berlusconi ha firmato un appunto al fiele contro la premier in pectore. 

Ieri si sono visti i primi segnali di disgelo. È stata una domenica da separati in casa. Giorgia a Roma, Matteo anche ma in gita in campagna, a raccogliere castagne a Caprarola su consiglio dell’alleata. Silvio invece ad Arcore, con Marta Fascina e la famiglia. 

Ma ad accorciare le distanze tra i tre ci ha pensato «una giornata di diplomazia telefonica», sorride un deputato di FI, cornetta in mano. Il via vai di numeri compulsati ha dato i suoi frutti. Nella mattinata, per l’anniversario del rastrellamento nazista del ghetto ebraico di Roma, tre dichiarazioni separate ma allineate al millimetro dei leader di partito. Vere prove tecniche di ripartenza. 

Rompe il silenzio un post della condottiera di FdI contro «gli attacchi scomposti della sinistra», un «vero e proprio insulto ai cittadini che hanno scelto da chi essere rappresentati». Poi, nell’ordine, una promessa e una presa d’atto. «Si mettano l’anima in pace: siamo qui per risollevare la Nazione - scrive - sarà un percorso pieno di ostacoli, ma daremo il massimo. Senza mai arrenderci». Di resa non se ne parla, ripetono in coro gli azionisti del centrodestra. Senza negare le tensioni che ci sono state e restano da disinnescare. Questione di nomi ma, ci tengono a dire dalla cerchia del Cav, soprattutto di metodo. La stessa lettura che hanno dato, a parti inverse, i meloniani di ferro, convinti che il mandato del 25 settembre (e la promessa di dare al Paese un governo «inattaccabile») debbano trovare riscontro al tavolo delle trattative. 

L’incontro di oggi a Roma cambia la partita. Punto primo: Berlusconi fa il passo e si chiude in conclave con Meloni nella sua sede, con il suo partito. Non un dettaglio: la location del vertice è stata al centro dello stallo nel fine settimana. «Tassativo» farlo a Roma, ha detto ai suoi Giorgia. E il Cav ha accettato, non senza una instancabile moral suasion di amici come Gianni Letta e Fedele Confalonieri. 

Punto secondo: sui ministeri la quadra si avvicina. La richiesta di Fi è sul Mise. Preso atto che difficilmente potranno avere il ministero della Giustizia (Meloni insiste: Carlo Nordio è il nome ideale), i forzisti vogliono il dicastero che fu di Giancarlo Giorgetti, «che per i nostri rapporti con il mondo produttivo è un asset», oltre alla Farnesina per Tajani.

IL DISGELO

Dietro il disgelo c’è più di una ragione. Il calendario, anzitutto. Entro domani FI, Lega e FdI dovranno scegliere i rispettivi capigruppo alla Camera e al Senato (Licia Ronzulli, gran protagonista della querelle di giovedì, è in lizza per guidare le truppe azzurre a Palazzo Madama). Dunque il voto per l’ufficio di presidenza, infine la salita al Colle, possibilmente con una bozza di governo in tasca. 

Ma a ricomporre i cocci c’è anzitutto la realtà che bussa. Un appello arriva da una constituency di peso del centrodestra: l’industria. «Capisco i riti della politica ma noi abbiamo la necessità di avere un governo autorevole e competente al più presto», avvisa il presidente di Confindustria Carlo Bonomi con lo sguardo alla crisi del gas e il caro-bollette. E conclude: «Non è un classico “fate presto” ma “fate bene”». Il Paese reale chiama. E spera che oggi a via della Scrofa ci sia campo. 

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