Lo scontro sul Green pass e sulle misure anti-covid, con Matteo Salvini che continua a strizzare l'occhio ai No vax e No pass, ha riacutizzato le divisioni all'interno della Lega. Da una parte l'ala governista guidata dal ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti e sostenuta dal responsabile del Turismo Massimo Garavaglia e dai governatori Luca Zaia (Veneto) e Massimiliano Fedriga punti di riferimento dei ceti produttivi del Nord-Est, dall'altra quella sovranista incarnata da Alberto Bagnai e Claudio Borghi. In mezzo, ondeggiante, il leader leghista. Che deve tenere conto di un elettorato che mal sopporta un governo con il Pd, Leu e i 5Stelle.
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La Lega è una sorta di partito di impostazione leninista, in cui il capo decide la linea per tutti.
I rapporti tra Salvini e Giorgetti, che non ha mai voluto mettere piede nel "tempio estivo" del Papeete, sono buoni solo in superficie. Il leader considera il ministro «un democristiano», più fedele a Draghi che a lui. E tra i due si registrano distanze anche di merito. Tant'è che già in diverse occasioni il responsabile dello Sviluppo ha votato in Consiglio dei ministri in modo, per poi essere smentito il giorno dopo dal suo leader. Il tema dello scontro: le misure anti-Covid e poi, appena qualche giorno fa, il Green pass, quando Borghi in commissione Affari sociali della Camera ha guidato i leghisti a votare contro il lasciapassare verde.
La collocazione della Lega
Altro tema di scontro è la collocazione internazionale del partito. Ancora pochi mesi fa il ministro dello Sviluppo proponeva di entrare nel Partito popolare europeo e di uscire dalla ridotta estremista in cui la Lega si trova nel Parlamento Ue assieme a Marie Le Pen e l'ultradestra tedesca Afd. Proposta che Salvini non ha mai voluto ascoltare, preoccupato com'è di veder rosicchiato il proprio elettorato - cosa che avviene ormai da mesi - da Giorgia Meloni.
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A dividere Salvini e Giorgetti sono anche le ottime relazioni del secondo con il mondo industriale e della finanza. Quelli che il leader leghista chiama "poteri forti". E il rapporto privilegiato con Draghi. Non solo. Salvini sospetta che il plenipotenziario moderato della Lega al governo, potrebbe puntare su palazzo Chigi nel caso in cui, nel 2023, il centrodestra dovesse vincere le elezioni. Infatti in quel nuovo quadro politico risulterebbe decisamente più forte e potabile la candidatura a premier di Giorgetti, considerato un interlocutore affidabile dalle cancellerie europee e dai centri finanziari del Paese. Se poi al Quirinale andasse Draghi, il gioco per GG (come chiamano Giorgetti nel partito) sarebbe da ragazzi.
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