Salvini e Giorgetti, oggi faccia a faccia. Ma nella Lega (spaccata) c'è aria da resa dei conti

Il leader convinto di rafforzarsi sul fronte interno con le alleanze internazionali

Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti, Lega spaccata: oggi la resa dei conti, il segretario punta sui sovranisti
di Francesco Malfetano
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Giovedì 4 Novembre 2021, 10:44 - Ultimo aggiornamento: 16:38

C'è aria di resa dei conti nella Lega. Sarà per le fortunate metafore sui film western usate dal ministro e vice-segretario Giancarlo Giorgetti, ma al Consiglio federale di oggi se non sarà un duello all'ultimo sangue con Matteo Salvini, ci si andrà quantomeno vicini. La tensione a via Bellerio è altissima. E nel pomeriggio si cercherà di misurarla per comprendere quanto il Carroccio possa ancora essere considerato il partito di Salvini e della sua "bestia", oppure quanto appartenga all'altra faccia della Lega. E cioè a quella corrente governativa rappresentata appunto da Giorgetti e spalleggiata sul territorio dai vari presidenti di Regione (in primis il friulano Massimiliano Fedriga e il veneto Luca Zaia), con dalla loro parte lo zoccolo duro leghista degli imprenditori del Nord-est della Penisola.  

LE POLEMICHE
A far esplodere le polemiche è stato appunto il ministro dello Svilluppo economico che, nell'ormai arcinota intervista rilasciata a Bruno Vespa per il suo libro di in uscita, ha accusato il suo segretario di essersi cristallizzato ad una forma politica non appropriata a questo momento del Paese e del partito. Meno prosaicamente, gli ha imputato l'essersi fermato ai film western piuttosto che puntare ad altro. «Matteo è abituato a essere un campione d’incassi nei film western - riporta il giornalista Rai - Io gli ho proposto di essere attore non protagonista in un film drammatico candidato agli Oscar. È difficile mettere nello stesso film Bud Spencer e Meryl Streep. E non so che cosa abbia deciso…».

IL VERTICE
Al netto delle tensioni, alimentate ieri da Salvini che ha incontrato in videoconferenza l’ungherese Viktor Orbàn e il polacco Morawiecki (guide del gruppo di Visegrad e antitesi di quel Ppe in cui Giorgetti vorrebbe far portare i leghisti in Europa), il titolare del MiSE chiede una scelta di campo è difficile arrivi già oggi. Anche se i retroscena pubblicati già parlano di una telefonata tra i due protagonisti in cui il segretario leghista avrebbe detto a Giorgetti «Se vuoi mi faccio da parte», è improbabile che il vertice di Roma diventi per la Lega ciò che l'auditorium della Conciliazione nel 2010 fu per il Popolo delle Libertà (il «Che fai mi cacci?» di Gianfranco Fini a Silvio Berlusconi è storia). Piuttosto Salvini, convinto di poter governare a lungo la Lega grazie all'intesa di Visegrad e al sostegno elettorale massiccio raccolto in questi anni, nel rendez-vous di oggi ribadirà di essere ancora il segretario, riconducendo la discussione entro i limiti di una gerarchia definita. Eppure senza dubbio non finirà qui. Nel partito si sta infatti aprendo a quella stagione di confronto interno già preannunciata nei mesi scorsi, con tanto di assemblea programmatica entro la fine dell'anno. Non un congresso per rinnovare i vertici leghisti ma un confronto tra tutti i notabili e le anime di via Bellerio. Un summit magari utile a serrare i ranghi - non a stravolgerli, sperano - arginando non solo queste polemiche di indirizzo ma anche gli strascichi delle vicende Morisi e Durigon, e quelli per la cocente sconfitta delle amministrative. Ma bisogna fare in fretta. In vista c'è l'elezione del nuovo presidente della Repubblica. Partita, questa, in cui i leghisti sono già divisi.  

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