Metteo Renzi: «I 5Stelle non romperanno sulle armi a Kiev, è una lite per le poltrone»

L’ex premier: «Di Maio se ne va? Meglio tardi che mai, ma non sarà leader del Centro»

Metteo Renzi: «I 5Stelle non romperanno sulle armi a Kiev, è una lite per le poltrone»
di Pietro Piovani
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Lunedì 20 Giugno 2022, 00:54 - Ultimo aggiornamento: 06:35

La frattura nei Cinquestelle, l’ipotetica scissione grillina, l’ancora più ipotetica nascita di un partito di Di Maio disposto ad unirsi alla carovana dei centristi. È lo scenario di cui si parla ormai da giorni, ma a cui Matteo Renzi non sembra credere molto. Perché il conflitto interno al Movimento è più che altro una contesa «per decidere chi farà le liste». E perché è ancora troppo presto per definire i contorni del cosiddetto centro, anche se - prevede il fondatore di Italia Viva - è al centro che si deciderà l’esito delle elezioni nel 2023. 


Senatore Renzi, c’è chi, tra gli esponenti del centro, vede in Di Maio un possibile nuovo alleato. E chi invece lo considera inaffidabile e lo esclude come interlocutore. Secondo lei?
«Mi sembra che la divisione grillina sia legata solo agli equilibri sulle poltrone. Noi pensiamo all’Ucraina, loro hanno in testa il secondo mandato. Di Maio ha rinnegato tutte le idee che lo hanno portato in parlamento: bene, meglio tardi che mai. Ma questo non significa dargli la leadership dell’area Macron: è pur sempre l’uomo che ha visitato i gilet gialli. Stiamo ancora aspettando che si scusi per le sue parole sulla Boschi dopo l’assoluzione su banca Etruria e contro gli amministratori del Pd su Bibiano».


Si parla molto dell’ipotesi di creare un nuovo soggetto politico di centro, che metta insieme Sala, Brugnaro, Toti, Calenda: le sembra un progetto realizzabile? Italia Viva sarebbe pronta a farne parte?
«Mi sembra prematuro parlarne e soprattutto giocare sui nomi va bene sotto l’ombrellone ma ha la stessa credibilità del calcio mercato. L’area centrale sarà decisiva per decretare il vincitore delle elezioni: è sempre andata così è sempre andrà così. Vedremo se il Pd o la destra sapranno occuparlo o se la lasceranno libera così da permettere la creazione di un terzo polo vincente. Faremo questa discussione tra sei mesi, non ora. Ora occupiamoci di cose serie».


Un esempio di cosa seria?
«Ci aspetta un autunno dove avremo carestia in venti paesi africani, problemi di siccità inediti, razionamenti del gas, storiche migrazioni, boom dell’inflazione. Davanti a questo quadro, mi perdoni, ma chissenefrega di Di Maio e Conte che litigano per chi farà le liste grilline. È imbarazzante vedere come noi indichiamo la luna e loro guardano il dito. Ci aspetta un autunno complicato, affidiamoci alle persone serie».


Che succederà il 21 giugno? La maggioranza riuscirà a trovare un documento comune da votare? 
«Ma sì. I grillini hanno cambiato idea su tutto. Volevano uscire dall’euro, bloccare la Tav, dire no al Tap, mettere in Stato di accusa Mattarella, rispettare i due mandati e non allearsi con nessuno. Come vede hanno cambiato idea su tutto. Capita a chi fa politica solo per difendere lo stipendio e non le proprie idee.

Anche adesso finirà con tanto rumore per nulla».


Il risultato delle amministrative e le turbolenze che ha creato in molti partiti possono destabilizzare in modo irreparabile l’ultimo anno di legislatura? E di fronte alle tante richieste dei partiti, dalla politica estera al fisco alle pensioni, Draghi deve negoziare con tutti o tirare dritto per la sua strada?
«Risposta fin troppo facile. Andare diritto. Aver mandato a casa Conte per mettere Draghi è stata una scelta difficilissima ma la rivendico con orgoglio e tenacia. Tutti mi dicevano che ero irresponsabile, adesso dovrebbero ringraziarmi per aver dato autorevolezza e visione a Palazzo Chigi. I partiti hanno meno di un anno per organizzarsi: facciano politica, se ne sono capaci, anziché disturbare il conducente».


Dopo l’approvazione della legge Cartabia (che Italia Viva ha scelto di non votare) c’è ancora spazio per nuovi interventi di riforma del sistema giudiziario? Il risultato del referendum può essere interpretato come un disinteresse dei cittadini per la materia?
«Sette milioni di italiani hanno votato per una riforma della giustizia. Sono stati pochi per vincere il referendum, saranno tantissimi per vincere le politiche. L’ho detto nel libro, l’ho detto in parlamento giovedì scorso: su questo tema ci giochiamo moltissimo nella costruzione di una casa comune dei riformisti. Non c’è spazio per i giustizialisti tra chi vuole riformare davvero il Paese».


Calenda ieri ha elogiato un suo discorso piuttosto duro, da presidente del Consiglio, pronunciato alla presenza di Putin. I governi occidentali negli anni passati hanno sbagliato valutazione sulla Russia? Affidarsi troppo alle sue risorse energetiche, credere nel suo coinvolgimento nella politica e nell’economia occidentale, è stato un errore?
«Discorso complesso. Quando abbiamo governato noi, abbiamo sempre avuto la schiena diritta. Non credo che tutti possano dire la stessa cosa, a cominciare da chi ha permesso la missione “Dalla Russia con amore” durante il Covid. Ma oggi la partita non è rinfacciarsi il passato, quanto costruire il futuro. E per farlo servono poche cose chiare. Continuare a difendere gli ucraini certo, provando a fare dell’Europa anche un attore diplomatico come noi chiediamo dal 24 febbraio: assurdo che medi Erdogan e non medi Bruxelles. Ho votato per le sanzioni e per l’invio delle armi, sono pronto a farlo di nuovo. Ma accanto a tutto ciò serve una iniziativa politica e diplomatica che il viaggio di Macron Scholz e Draghi lascia presagire. Inutile oramai vivere di rimpianti sul passato: dopo l’aggressione russa è cambiato tutto. Ma la pace ha bisogno anche di una iniziativa politica. Tenere insieme il sostegno agli ucraini sul terreno e la fatica della via diplomatica è difficile ma è il compito storico dell’Europa. Perché qui è chiaro che non vincerà nessuno ma se continua così perdiamo tutti».
 

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