Suicidio assistito, il caso di Mario. Enzo Cheli: «Sul via libera della Corte Costituzionale ha pesato la debolezza del Parlamento»

Suicidio assistito, il caso di Mario. Enzo Cheli: «Sul via libera della Corte Costituzionale ha pesato la debolezza del Parlamento»
di Diodato Pirone
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Sabato 12 Febbraio 2022, 07:18 - Ultimo aggiornamento: 08:09

Il professor Enzo Cheli, fra mille altre cose, è stato vicepresidente e giudice della Corte Costituzionale. A lui chiediamo un parere sul caso di Mario, il marchigiano 43enne tetraplegico dopo un incidente stradale, che dopo 15 mesi di tentativi a vuoto ora potrà far valere nel concreto il proprio diritto di poter accedere al suicidio medicalmente assistito in Italia.


Professore, partiamo da una domanda basica: il caso di Mario rispetta i canoni della legalità anche se non c'è una legge sul suicidio assistito?
«Si tratta del primo caso o di uno dei primi legato alla sentenza presa dalla Corte Costituzionale nel 2019 nota come sentenza Cappato/DJ Fabo».


Ma una sentenza della Corte Costituzionale non è una legge...
«In realtà è come se lo fosse perché si tratta di una sentenza autoapplicativa o addittiva».


E cosa vuol dire?
«Che nel 2019 la Corte, dichiarando in parte anticostituzionale un articolo di legge, diede delle indicazioni molto precise su come comportarsi sulla parte non scritta di quella legge.

In pratica ha scritto le regole cui attenersi in occasioni di una richiesta di suicidio assistito. Evidentemente devo supporre che nel caso del signor Mario queste indicazioni vengano rispettate in modo rigoroso anche perché da quello che leggo si è dovuto pronunciare un Comitato Etico. Insomma non mi pare si tratti di un caso trattatato con leggerezza e al di fuori delle regole».


Può elencare le indicazioni fissate dalla Corte nel 2019?
«Innanzitutto è dirimente la piena coscienza del soggetto che vuole togliersi la vita. La decisione va presa in modo libero e in totale consapevolezza. Poi la malattia deve essere irreversibile e le sofferenze fisiche tali da essere difficilmente sopportabili da un essere umano. Infine la Corte stabilì che la procedura doveva essere applicata in una struttura pubblica dopo essere stata vidimata da un Comitato etico».


E' all'evidenza una griglia di condizioni molto severe.
«Mi pare di poter dire che la Corte era perfettamente consapevole della delicatezza della materia e che quindi diede delle indicazioni molto precise in attesa che il Parlamento varasse una legge che stabilisse i dettagli delle diverse procedure».


Ora però arriva il referendum sull'articolo del codice penale relativo all' omicidio del consenziente. Caso simile a quello del suicidio assistito. Cosa dovrebbe fare il Parlamento?
«Le Camere hanno atteso fin troppo tempo per legiferare sulla materia relativa al fine vita. Tuttavia a questo punto sarebbe più ragionevole capire se il referendum sarà ammesso e aspettarne l'eventuale esito prima di varare una legge».


Ma sono anni che attendiamo una pronuncia del Parlamento, lei davvero crede che arriverà?
«Si tratta di temi obiettivamente delicatissimi. Qui si intersecano quattro questioni tutte sul filo di lana».


Quali?
«Diritto alla vita, diritto alla salute, diritto della persona e autodeterminazione. Sono tutti valori di primaria importanza che vanno messi in equilibrio. Non è facile. Ciò detto, è evidente che l'incertezza del Parlamento ha lasciato spazio alla Corte Costituzionale».


La nostra Costituzione disegna una Repubblica parlamentare ma poi arrivano le sentenze autoapplicative della Consulta, ovvero dell'organo che tutela la Costituzione. Non lo trova contraddittorio?
«La debolezza del governo e quella del Parlamento, ovvero di organi di indirizzo politico, hanno finito per dare più forza agli organi di equilibrio disegnati dalla Costituzione: ovvero al Quirinale e alla Consulta. Quest'ultima già da molti anni - come accade anche in Germania - promulga sentenze addittive, come quella Cappato, che dopo aver definito incostituzionale una norma intervengono sul segmento non scritto legato alla norma abrogata».


Ma non c'è una forzatura delle garanzie democratiche?
«I poteri non sono mai rigidi e devono potersi assestare. D'altra parte la Consulta, che ormai opera da una settantina d'anni, è intervenuta sempre con estrema prudenza con sentenze addittive perché ha un punto di riferimento che definirei compatto: la Costituzione».
 

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