Ruby ter, Berlusconi: «Calvario finito dopo undici anni di fango». La figlia Marina: ​«Papà ha pagato un prezzo troppo alto»

Le figlie Marina e Barbara: vittoria amara. E Fascina: «Accuse ingiuste e strumentali». Ai deputati il Cav predica prudenza. E sorride per gli applausi dei renziani

Ruby ter, Berlusconi: «Calvario finito dopo undici anni di fango». La figlia Marina: «Papà ha pagato un prezzo troppo alto»
di Francesco Bechis
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Mercoledì 15 Febbraio 2023, 17:01 - Ultimo aggiornamento: 23:17

Il sorriso è appena accennato. La voce, un filo. «Finisce un lungo calvario giudiziario». Non c’è eccesso, manca il proverbiale sarcasmo nelle telefonate con cui Silvio Berlusconi ringrazia, uno ad uno, parlamentari, parenti, amici in fila per festeggiare la chiusura, con assoluzione piena, del processo Ruby Ter. Quando il Tribunale di Milano pronuncia la sentenza, il patron di Forza Italia è in pensosa attesa ad Arcore, pranza da solo insieme alla compagna Marta Fascina. Da lì in poi, il telefono non smette di squillare.

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Qui Arcore

Family first: i figli Marina, Piersilvio, Barbara. E poi gli amici di una vita, da Fedele Confalonieri a Gianni Letta fino ad Antonio Tajani. «La soddisfazione è grandissima, e il fatto che la giustizia riconosca finalmente la verità è importante, ma è una vittoria che ha avuto un prezzo troppo alto», recita una nota al vetriolo della primogenita e presidente di Fininvest, «una persecuzione del genere non si può cancellare così, con un colpo di spugna». E ancora: «È una vittoria che ha avuto un prezzo troppo alto. Non solo per mio padre, anche per tutte le persone che lo amano e lo stimano, per i milioni di italiani che negli anni lo hanno votato». «Papà? È l’uomo più perseguitato del mondo, con 86 processi e più di 4000 udienze», ribatte a stretto giro Barbara, «non tutti comprendono come i processi colpiscano l’animo, ma soprattutto la salute della persona indagata». Perfino Fascina, solitamente lontana dai microfoni, rompe il silenzio con una nota alle agenzie. «Oggi si chiude un capitolo umanamente doloroso per il presidente», fa dettare da Arcore la deputata. Anche qui, una sferzata contro «accuse ingiuste e strumentali, fondate sul pregiudizio politico più che su validi elementi probatori, anni di discredito e fango di cui mai nessuno risponderà». In calce, un ricordo di Niccolò Ghedini, storico avvocato di Berlusconi e parlamentare scomparso la scorsa estate per una malattia, «ha creduto e lottato per il grande risultato conseguito oggi». 
Da Villa San Martino, il Cavaliere legge soddisfatto le agenzie che battono la difesa accorata delle figlie, insieme alle note di Giorgia Meloni e Matteo Salvini.

E si concede un sorriso quando arriva la chiamata del gruppo parlamentare alla Camera. «Presidente, finalmente!» urlano in vivavoce uno ad uno i fedelissimi di Montecitorio, da Paolo Emilio Russo al capogruppo Alessandro Cattaneo. Lui, Berlusconi, ha già visto il video delle reazioni in aula. 

 

Le telefonate

Quando sugli smartphone degli onorevoli appare la notizia - «il fatto non sussiste» - scoppia la festa. Russo la riferisce in diretta mentre interviene nell’emiciclo, parte un applauso fra i banchi della maggioranza. Non solo: rompe gli indugi anche una metà della pattuglia renziana a Montecitorio. E di questo «Berlusconi è stato molto contento», riferisce chi ha parlato in serata con l’inquilino di Arcore. Chi era nella calca forzista al telefono con il fondatore racconta un leader rinfrancato dal verdetto milanese, moderatamente. «Guardo avanti», dice ai suoi. E pure un po’ indietro: Berlusconi snocciola i numeri, uno ad uno, della lunga vicenda giudiziaria. Quella di una vita, non solo il Ruby-gate. Processi, assoluzioni, condanne ritenute più o meno ingiuste. Trent’anni tra palazzo e tribunale. Eppure, spiega chi gli è vicino, di tutti i processi che lo hanno visto sul banco degli imputati, questo è tra i casi che più lo hanno segnato e sfiancato. Nel primo pomeriggio, Berlusconi riceve ad Arcore i suoi avvocati. Si fa spiegare per filo e per segno la sentenza, l’intoppo legale che a detta dei giudici milanesi ha di fatto smontato l’impianto dell’accusa. È vissuta così, senza eccessi, questa assoluzione che un po’ era attesa a Villa San Martino, complici le rassicurazioni ricevute dai legali nelle scorse settimane, «non c’è altra soluzione, il caso si chiuderà così». 
Non è casuale allora la nota stringata e (per i suoi standard) assai composta che il Cav affida ai social nel primo pomeriggio. Con tanto di assist ai giudici, «ho avuto la fortuna di essere giudicato da magistrati che hanno saputo mantenersi indipendenti, imparziali e corretti». Per questo, chi ieri al telefono ha cercato di strappare al leader una battuta, uno sfogo contro le toghe eterne rivali, è rimasto deluso. 
Tra i parlamentari, c’è chi promette solenne: «Presidente, adesso faremo la commissione di inchiesta sulla giustizia». Qualcuno si spinge oltre, con lo sguardo a via Arenula: serve subito un’ispezione nei confronti della procuratrice Tiziana Siciliano. Berlusconi, dall’altro lato della cornetta, non si scompone, ascolta in silenzio, ringrazia e saluta. Non ha intenzione di riaprire ora la trincea della giustizia. Così i battaglieri propositi dei suoi parlamentari incontrano un complice sorriso, niente più. Al telefono, il Cav, questo sì, si sfoga dicendosi «sbigottito per quello che ho dovuto subire». Ne fa una questione di Stato, letteralmente: «Questa vicenda ha alterato il percorso della democrazia italiana». 

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