Mara Carfagna: «Investire sulle aree interne, così si aiuta il Centro Italia»

Mara Carfagna: «Investire sulle aree interne, così si aiuta il Centro Italia»
di Andrea Bassi
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Domenica 23 Maggio 2021, 04:19 - Ultimo aggiornamento: 24 Maggio, 10:19

Ministra Mara Carfagna, accanto alla questione meridionale sta emergendo sempre più nettamente una questione del Centro Italia. Una parte del Paese che sta arretrando a ritmi finora poco conosciuti. Il governo è consapevole di questo rischio di meridionalizzazione del Centro? 
«Siamo perfettamente consapevoli dei danni che sta creando la deindustrializzazione di intere zone di Lazio, Umbria, Marche e Toscana e di come la pandemia abbia peggiorato le cose interrompendo i flussi commerciali e turistici e gli investimenti. Solo una nota: non usiamo la parola “meridionalizzazione”, il termine Meridione non può essere considerato sinonimo di arretratezza».


Lei dice che la pandemia sta aggravando i divari. La Svimez ha recentemente stimato che rischiano di sparire per sempre 20 mila imprese del Sud e 17500 del Centro. Ritiene che dopo le politiche dedicate al Sud sia arrivato il momento di pensare a interventi mirati anche su questa area?
«La soluzione, come proviamo a fare con il Piano nazionale di ripresa e resilienza, è stimolare la riconversione industriale, anche attraverso forti investimenti in ricerca, logistica, digitale e transizione ecologica, per riportare l’industria italiana sulla frontiera della competizione globale.

Per il Centro Italia, poi, ritengo particolarmente rilevante l’attenzione che stiamo dedicando alla strategia nazionale delle aree interne, per favorire la presenza di infrastrutture sociali e materiali in quell’Italia interna fatta di borghi, piccoli paesi, zone rurali, che grazie alle nuove tecnologie possono connettersi al mondo e tornare ad attrarre residenti, lavoratori e imprese».


È possibile pensare, come propone qualcuno, a delle zone economiche speciali anche per il Centro? 
«Proprio la settimana scorsa ho approfondito la possibilità per le Marche di beneficiare di una zona economica speciale, che offra anche a questa importante regione le opportunità di sviluppo e di attrazione di investimenti nazionali e internazionali che intendiamo concretizzare con la riforma delle Zes, uno dei progetti di punta del Pnrr che sto coltivando come ministro per il Sud e la Coesione territoriale. Ci stiamo lavorando».


In cosa consisterà questa riforma delle Zone economiche speciali?
«Ho predisposto una riforma della governance delle Zes che entrerà nel decreto Semplificazioni e che prevede un regime di autorizzazione unica in capo al Commissario. Il Commissario sarà il vero interlocutore istituzionale per chi decide di investire in queste zone, avrà una sua struttura e poteri autonomi. Inoltre ci sarà un incremento dei crediti di imposta da 50 a 100 milioni. Investire nelle Zes deve essere rapido e conveniente».


Ma il Centro non rischia comunque di rimanere schiacciato tra le pretese autonomiste del Nord e un Sud che tenta di aggregarsi per agganciare la crescita economica? 
«Se il Mezzogiorno cresce e riprende a essere terra che crea lavoro e opportunità, i primi a beneficiarne sono i territori limitrofi, come la città di Roma e le regioni del centro Italia. Uno degli obiettivi che personalmente mi sono posta è quello di chiudere, una volta per tutte, il “rubabandiera” tra le diverse aree del Paese per mettere tutti nelle condizioni di competere alla pari, valorizzando le proprie specificità. Questo significa “coesione”: riduzione dei divari, equità tra i territori, abbattimento di privilegi ed egoismi». 


Uno dei temi emersi nel dibattito, è quello dello spopolamento delle aree del Centro Italia. Qui l’esperienza del Sud insegna. Perdere capitale umano è una delle determinanti del declino. C’è modo di invertire questa tendenza? 
«Guardi, ho più volte paragonato il Piano nazionale di ripresa e resilienza al Piano Marshall non a caso. Dobbiamo replicare non solo gli effetti economici che ebbe quel piano, ma anche il clima di ottimismo, fiducia, attivismo imprenditoriale e personale, che accompagnò la stagione della ricostruzione negli Anni 50 e 60. Il Covid ha determinato la fine dell’austerity europea e nazionale. La possibilità di una fase completamente nuova, che renda conveniente vivere, lavorare, restare in Italia, esiste e deve essere realizzata». 


La città di Roma, il suo sviluppo, può avere un ruolo nella ripartenza di tutta l’area? 
«Nessun Paese può pensare di farcela se non ha il traino della propria Capitale, tanto meno l’Italia che ha come capitale la città su cui si fonda l’intera civiltà occidentale. Spesso dico che, se cresce il Sud, cresce l’Italia. Posso anche dire che, se non riparte Roma, non ripartirà mai il Paese».
 

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