Caro taxi e export giù: i rischi dietro i tagli ai sussidi inquinanti

Caro taxi e export giù: i rischi dietro i tagli ai sussidi inquinanti
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Domenica 13 Ottobre 2019, 11:02 - Ultimo aggiornamento: 11:23

Lo hanno battezzato «Il catalogo». E così lo chiamano tutti. Con un certo timore. Perché finire nel postalmarket del governo, un elenco di cinquecento-e-passa pagine, può essere un problema. E anche serio, se non fosse che alcuni dei passaggi del lunghissimo documento pubblicato dal ministro dell'ambiente Sergio Costa sul sito internet del suo dicastero non assomiglino quasi a uno scherzo. Ma partiamo dall'inizio. Trascinati dalle battaglie di Greta Thunberg e dalla nuova attenzione ai temi ambientali, anche l'Italia ha deciso di dare un segnale. Una bella svolta green e pure di un certo peso. Così il ministero ha contato che nel Belpaese ci sono sussidi per 19 miliardi e rotti di euro che vengono erogati ad attività dannose per l'ambiente. Questi sussidi il governo li ha ribattezzati «Sad», che in inglese significa «triste». Un gioco facile di parole. Alla ricerca matta e disperatissima di soldi per evitare il prossimo anno di dover far aumentare l'Iva di un paio di punti percentuali, il governo ha ben pensato di unire l'utile (tagliare i sussidi tristi) al necessario (trovare soldi).

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LA SFORBICIATA
Così nella Nadef, la nota di aggiornamento che precede la manovra di bilancio vera e propria, si è decisa una bella sforbiciata: le Sad andranno tagliate per 1,9 miliardi di euro. Il 10% del totale. Ne faranno certamente le spese gli automobilisti che possiedono un'auto diesel (sono ben 17 milioni), che perderanno l'agevolazione sulle accise e vedranno il prezzo del gasolio avvicinarsi a quello della benzina. Ma dopo tutti gli scandali del dieselgate se ne dovranno fare una ragione.

Chi potrebbe avere qualche problema in più a capire perché è finito nel mirino del governo sono, per esempio, le famiglie povere. Quelle che hanno un Isee sotto gli 8 mila euro o un po' più alto ma con almeno quattro figli a carico. Lo Stato a loro, almeno fino ad oggi, ha provato a dare un piccolo aiuto. Gli ha permesso, per esempio, di ottenere il cosiddetto «bonus acqua», un bonus che gli consente di non pagare un quantitativo minimo di acqua a persona per anno (50 litri giorno a persona), corrispondenti al soddisfacimento dei bisogni essenziali. Insomma, non hai tanti soldi ma ti consento di dissetarti e di lavarti gratis. Sembrerebbe una cosa buona. E invece no. Vista con le nuove lenti dell'ambientalismo militante, questa misura incentiva lo «spreco» di una risorsa essenziale, l'acqua per l'appunto.

Certo, i poveri sono pur sempre poveri, e vanno aiutati. Dunque niente panico, gli estensori del «catalogo» hanno la soluzione. Eccola: «Per evitare scompensi dal punto di vista sociale, il sussidio potrebbe essere sostituito da incentivi ad infrastrutture per il riciclo/recupero/risparmio di acqua, come ad esempio il rimpiazzo degli scarichi wc tradizionali con quelli a doppio pulsante». Ricorda vagamente la storia delle brioche di Mariantonietta.

Acqua a parte, il catalogo rischia di andare di traverso a molte categorie. Come quella dei tassisti (ma anche di Uber). Chi fa una corsa, oggi, non paga l'Iva. Ma questa esenzione sarebbe un disincentivo ad utilizzare mezzi più sostenibili, come quelli pubblici. I taxi, insomma, non andrebbero esentati. Una menzione a parte merita la storia dei 30 mila marittimi, gli italiani che lavorano sulle navi. Ricevono degli sgravi sul costo del lavoro.

LA REAZIONE
Una misura, ha ricordato qualche giorno fa assarmatori, che ha aiutato superare due gravissime crisi, quella della fuga verso bandiere di comodo di fine anni Novanta e quella economico globale del 2008, rilanciando non solo l'armamento nazionale (nei venti anni di applicazione delle norme è raddoppiato il numero delle navi battenti bandiera nazionale) ma anche l'occupazione. Che c'azzeccano, direbbe qualcuno, gli sgravi ai marittimi con l’ambiente. E qui il ragionamento si fa contorto. Le navi, è vero, riconosce il “catalogo”, inquinano meno degli aerei sui percorsi lunghi. Ma se si vuol essere davvero ambientalisti, la cosa migliore è che i prodotti e le persone non viaggino. È il principio che oggi viene sintetizzato nel motto «chilometri zero».

Bene, fa notare Assarmatori non senza una nota di ironia, si usano le navi o per trasportare persone e merci da o verso le isole, e in quel caso la lunghezza della catena la dà la distanza dell’isola dalla terraferma (per inciso in Italia vivono nelle isole circa 7 milioni di persone, ossia ben oltre il 10% della popolazione), oppure si trasportano persone e soprattutto merci verso le destinazioni prescelte. Se un’azienda esporta le sue merci in Cina o negli Stati Uniti non la si può costringere a venderle a chilometro zero. L’economia italiana si regge sull’export e i dati dimostrano che le attività di import/export non possono affatto prescindere dal trasporto via mare. Concetto abbastanza intuitivo, del resto.

Per non farsi mancare niente, il “catalogo” ambientale vorrebbe tagliare anche i sussidi agli investimenti in beni strumentali delle aree svantaggiate del Mezzogiorno. Il motivo? La legge non distingue tra investimenti favorevoli all’ambiente e investimenti dannosi. Meglio buttare allora l’acqua sporca con tutto il bambino. Insomma, il motivo per cui il Tesoro avrebbe stoppato l’ambiente sul taglio lineare dei sussidi, starebbe proprio nei contenuti del “catalogo”. Che tanti chiedono, ma pochi realmente conoscono.

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