Lo sgambetto di Crimi viene annunciato a tarda sera. Ha dato l’ok alla votazione per il direttorio a cinque, rispondendo al diktat di Grillo e tutelandosi dalle sue minacce. Ma il voto non avverrà su Rousseau e in ogni caso serviranno almeno 15 giorni. Lo scontro nel Movimento 5Stelle, insomma, si fa sempre più duro. Il fondatore è nero: «Conte - ha spiegato ai suoi - ha lanciato un’Opa sul Movimento, non posso permetterlo». È a dir poco furente con gli ha voltato le spalle. Raccontano che nel suo mirino ci siano big del calibro di Lombardi e Cancelleri e chi, soprattutto al Senato, ha intenzione di schierarsi al fianco di Conte. Nel frattempo l’ex premier sta chiamando i dirigenti pentastellati uno a uno: dovete schierarvi con me, occorre preservare la democrazia, con Grillo M5S non ha futuro, il suo ragionamento.
L’ultima mediazione è ancora in corso ma rischia di fallire fragorosamente, anche se si sta lavorando ad un incontro tra i due.
Conte-Grillo, Di Maio e Fico mediano. Toninelli: «Votiamo su Rousseau»
Autocandidature
Sono angosciati i filo-Grillo. In serata, come si diceva, Crimi ha comunicato al garante di aver avviato tutti gli adempimenti allo svolgimento delle votazioni per il comitato direttivo, «individuando modalità e tempistiche per la presentazione delle candidature, per le verifiche dei requisiti e per lo svolgimento della votazione». Lo ha fatto tramite un’email ma soprattutto ribadendo che si procederà al voto utilizzando lo strumento di voto messo a disposizione da SkyVote. Non quindi su Rousseau, come richiesto 24 ore prima da Grillo.
Ad avanzare la disponibilità per una candidatura dovrebbero essere i vari Toninelli, Giarrusso, Morra, Lezzi, esponenti che non è che fanno proprio il tifo per Draghi (nei mesi scorsi era disponibile anche Di Battista che però si è sfilato da tempo). Grillo però ha una sua list, e sarà - ripete - il nuovo direttivo a decidere il nuovo statuto. In realtà sono terrorizzati anche i filo-Conte. E’ vero che l’ex premier ha annunciato di non avere alcuna intenzione di porre il suo progetto nel cassetto, ma sono tante le incognite sulla strada della costituzione di nuovi gruppi e di un nuovo partito. Il piano di Giuseppe è puntare sull’evoluzione dei Cinque stelle, far emergere che è Grillo ad aver tradito gli attivisti, garantire che, al di là della narrazione corrente, non si tratterebbe di un partito personale. E magari cona la rassicurazione agli eletti di un ritorno in Parlamento, quando si tratterà di andare al voto, anche per chi scalvalcherà il confine del doppio mandato. Ma sul timing non si è deciso ancora nulla. Proprio perché in atto c’è la resistenza dei parlamentari, da una e dall’altra parte, di rompere. Di Maio e Fico (ieri si sono parlati a lungo) tentano di evitare la guerra tra bande. M5s è con il fiato sospeso. Con un occhio anche alle ripercussioni sull’agenda Draghi (i pentastellati hanno rinviato l’incontro con Cartabia sulla riforma del processo penale che slitterà a dopo l’estate) e perfino alle possibili conseguenze sulla composizione dell’esecutivo. «Ma siamo sicuri – si chiede un big M5S – che se ci spacchiamo non ci sarà un terremoto e magari un rimpasto?». In questo clima di tensione, con una differenza di vedute tra i deputati e i senatori, c’è la prospettiva di un’altra querelle legale. E il problema del simbolo. Grillo ne rivendica la priorità, al Senato i contiani dovrebbero appoggiarsi su Leu o sul Maie.