«Ora non scindiamoci tra di noi, non dividiamoci in mille rivoli, chi a destra, chi a sinistra e chi nel gruppo misto». Questo dicono, nel doppio day after della frattura al Senato e alla Camera dei 5 stelle, molti nuovi ex del movimento di Grillo ormai considerato un traditore, un tecnocrate come quello che i Grillini hanno combattuto, in «ripetente si Draghi». Il fatto però è che gli scissionisti M5S, con l’ex ministra Lezzi in qualità di pasionaria e la cui star è Nicola Morra, presidente della commissione antimafia, ma tra le due Camere sono una quarantina, si stanno scindendo tra di loro.
Scissionisti modello A e modello B
Gli scissionisti modello A sono quelli che dicono: non ci facciamo espellere e contro le espulsioni ordinate da Crimi e decise da Grillo facciamo ricorso in tribunale, e insomma ci appelliamo ai giudici perché lo statuto non prevede un trattamento così.
Gli scissionisti modello B, in polemica con quelli della prima frazione che vogliono restare nel movimento e scalarlo e prendersi una fetta di potere nel direttorio a 5 che nascerà a breve, hanno una linea diversa che è questa: finalmente da soli, e senza Di Maio e gli altri che pensano solo al potere e ai posti da ministri, facciamo i nostri gruppi autonomi in Parlamento così il potere lo abbiamo pure noi. Questa tendenza si sta facendo strada. Avere un gruppo di almeno dieci ex grillini al Senato e di almeno 20 di loro alla Camere, cifre raggiungibilissime, significa partecipare alla lottizzazione e alla spartizione di poltrone: poter pretendere la guida del Copasir, per esempio, o la guida della commissione di Vigilanza Rai, o un posto nel Cda della televisione pubblica, o perfino qualche vicepresidenza della Camera o del Senato. Tanta roba, come si dice oggi con una espressione inflazionata.
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Di Battista
Dietro queste manovre, non quelle del modulo A della resistenza a oltranza nel movimento ma quelle più potenti e devastanti del modulo B, che significa un partito vero e proprio e pronto a presentarsi alle prossime elezioni, agisce da regista e da punto di riferimento il Dibba. Che è fuori dal Parlamento, non vede l’ora di rientrarci e l’operazione in alto è questa. Gruppi in Parlamento, e riattivazione di tutto quel mondo territoriale del grillismo delle origini, fatto di meet up e di comitati sull’acqua pubblica e sui diritti sociali che hanno rappresentato la spinta alternativa dei 5 stelle storici e la cui leadership naturale adesso, ma anche prima, e in Dibba.
Questa vendetta anti-governista e anti-Beppe dei grillini fondamentalisti e combatti ha già il suo strumento di reclutamento e di organizzazione che è la piattaforma Rousseau. Casaleggio, scaricato brutalmente e non da adesso dai 5 stelle governativi, è della partita. Grillo, il padre ripudiato ma «il traditore è lui e non noi che diciamo le stesse cose di sempre», è il nemico da sconfiggere. Insieme a Di Maio.
Roberto Fico, che culturalmente sarebbe dalla parte degli scissionisti e degli scissionisti degli scissionisti, come al solito si trova in mezzo alla contesa e sta con i governativi però, agendo come trait d’union tra M5S e Pd per fare il blocco giallorosso da presentare alle prossime elezioni. E il ruolo di Conte? Il partito Dibba, che detesta il Pd ormai di più di quanto lo faccia la Lega che con i dem ci governa, vorrebbe Conte dalla propria parte ma l’ex avvocato del popolo ha altre ambizioni. Ossia far il candidato premier, nel 2022 o al più tardi alla scadenza naturale della legislatura nel 2023, alla guida dei progressisti uniti nella grande alleanza Zingaretti-Di Maio-Fico-Leu. E quando Rocco Casalino, non amato dalla falange Dibba e ormai in rotta con Casaleggio junior, dice che vuole continuare a fare politica e punta a «entrare in Parlamento», pensa di farlo nello schema contiano dell’alleanza M5S-Pd.
Ma occhio alla Raggi. In questa partita c’entra assai. Ha ottimi rapporti personali e politici con Dibba, anche se si è schierata a favore del governo Draghi e questo è un problema. Ma occorre seguire bene le sue vicende perché Virginia ha appena chiesto al movimento di uscire dalle ipocrisie sulla sua candidatura e di farla votare da tutti su Rousseau dopo di che sarà la candidata al Campidoglio inattaccabile e non dovrà esserci tentazione grillesca di virare sulla candidatura Gualtieri in condominio con il Pd.
Se M5S - e Grillo parrebbe dalla sua parte - le concede questa operazione, no problem. Se invece le verrà negata, e i vertici stellati continuano a cercare l’accordo con Zingaretti per un rossogiallo al Comune di Roma, allora la Raggi che mai e poi mai intende rinunciare alla sua corsa nella Capitale diventerà punta di diamante del grillismo alla Dibba e del nuovo partito alternativo e combat che vuole sostituirsi ai 5 stelle riprendendone le parole d’ordine originarie e cercando di abbattere gli ex colleghi convertiti alla tecnocrazia e al governismo a tutti i costi.
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