M5s, guerra per cambiare le regole: da Di Battista pressing sugli iscritti

M5s, guerra per cambiare le regole: da Di Battista pressing sugli iscritti
di Simone Canettieri
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Mercoledì 17 Giugno 2020, 09:43 - Ultimo aggiornamento: 15 Febbraio, 05:18

«Mettiamola così: io sono repubblicano e qui vedo molti che pensano solo a succedere al trono, quindi alla monarchia. Ecco perché mi tiro fuori».
In un momento di pausa dai lavori della commissione Antimafia di cui è presidente, Nicola Morra, big del M5S, da sempre e per primo a favore di una gestione collegiale quando il regnante era Luigi Di Maio, alla sua maniera manda un messaggio chiaro alle ambizioni di Alessandro Di Battista.
Di fatto, l'uscita dell'ex parlamentare, subito stoppato da Beppe Grillo con le maniere forti, ha ricompattato tutte le anime parlamentari e ministeriali. Nonostante le differenze evidenti.
Ecco, allora, Emanuele Dessì, senatore romano molto legato a Paola Taverna: «Dibba? Vuole essere più grillino di Grillo. E come se uno del Pci si fosse sentito più comunista di Gramsci. Con la differenza che Beppe è vivo e lotta insieme a noi. Anzi, è tornato».

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LE MOSSE
In questa guerra di veti che tutto paralizza - a partire dal via libera alla ricandidatura di Virginia Raggi a Roma, passaggio da far votare su Rousseau - la vera sfida è sullo Statuto del Movimento.
Tutti, eccetto Di Battista, sono per una gestione collegiale. Quindi - da Di Maio a Fico passando per Taverna e Patuanelli - è l'idea è quella di eliminare il ruolo del capo politico. Posizione che al momento è ricoperta da Vito Crimi, anch'egli favorevole alla svolta.
Per arrivare a questo passaggio occorre lanciare su Rousseau il quesito e gli iscritti si dovrebbero esprimere a favore - o contro - la modifica statutaria.
Taverna, in campo come dicono in molti per essere la portavoce di questo organismo collegiale, la vede così: «Il congresso? Parola che appartiene alla vecchia politica, chiamiamoli Stati Generali, ma prima vengono le idee e dopo le persone, bisogna interrogarsi sull'agenda politica, per i prossimi dieci anni, i nomi abbiamo tutti i tempi per farli».
Anche qui c'è una stoccata a Di Battista. Anche se poi la vicepresidente del Senato gli tende la mano: «C'è bisogno di tutti, di Alessandro e di Grillo».
L'idea di un direttorio, ultragovernativo, piace anche al ministro Vincenzo Spadafora: «Non credo che possa indebolire Palazzo Chigi».

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Il tema è la collocazione di Di Battista e della sua pattuglia di parlamentari, numeri non impressionanti al contrario però di una popolarità tra la base che anche gli avversari interni gli riconoscono. E qui prende piede l'ipotesi che per giocare d'anticipo l'ex parlamentare possa ricorrere alle regole dello Statuto.
Ovvero: raccogliere le firme digitali del 10% degli iscritti a Rousseau (quindi circa 15mila persone) per pretendere che si arrivi subito all'elezione del nuovo capo politico, come è scritto nello Statuto. Per fare questa operazione servirebbe ovviamente il via libera di Davide Casaleggio, titolare della piattaforma e di sicuro in questa fase molto più in asse con Dibba che con il resto dei big pentastellati. «Davanti a una mossa del genere scateneremmo l'inferno», dice al Messaggero una fonte governativa del M5S.

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La carta degli iscritti è un consiglio (non richiesto) che arriva da Lorenzo Borrè, l'avvocato di tutti i grillini finiti in rotta di collisione con il Movimento. Contattato da questo giornale Borrè dice: «Parlo dal punto di vista accademico, diciamo. Figuriamoci se ho rapporti con Dibba». Gli «amici» dell'ex parlamentare insistono: «Vogliamo solo fare una battaglia trasparente e sui nostri valori, non ci interessano le poltrone». E' vero pure però che Dibba sarebbe tentato da un tour estivo - come quello che fece contro il referendum di Matteo Renzi nel 2016 - per tornare «tra la gente». Con la scusa ufficiale di parlare, questa volta di un altro referendum, quello previsto a settembre sul taglio dei parlamentari, storica battaglia grillina.

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PALAZZO CHIGI
Sullo sfondo, ma nemmeno troppo, c'è poi la posizione di Giuseppe Conte, costretto a surfare tra le acque agitate del Movimento. Il premier ha già detto di non essere interessato alla creazione di una lista né a scalare il Movimento. Uno scenario che Spadafora stronca con parole chiare: «Non vedo Conte come futuro leader e una sua lista sarebbe inopportuna».
Sicché si ritorna così, come in un gioco dell'oca, alla casella iniziale. Ai sospetti e ai veleni del tutti contro tutti. In attesa che qualcuno faccia la prima mossa. O magari l'ultima. Anche se tutti vedono in Grillo l'unico faro per indicare la via a queste anime in guerra e soprattutto per mettere l'esecutivo al riparo da tensioni e possibili scissioni. Anche perché il senatore Gianluigi Paragone, espulso dal M5S ma molto amico di «Alessandro», ha già annunciato che vuole far nascere un nuovo partito: «Anti-europeo e anti- establishment».
 

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