M5S, il rischio emorragia al Senato: sette grillini verso Lega o Misto

M5S, il rischio emorragia al Senato: sette grillini verso Lega o Misto
di Emilio Pucci
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Martedì 26 Novembre 2019, 00:37 - Ultimo aggiornamento: 16:11

ROMA «Sarebbe meglio andare al voto, c’è tanta di quella tensione. Le urne rappresentano la strada più logica». Il senatore Grassi formalmente fa parte ancora del Movimento 5 stelle e comunque ribadisce che «bisogna prima approvare la legge di bilancio». Ma l’esponente pentastellato è tra coloro che non fa mistero di apprezzare la Lega: «Difende l’industria italiana, è contro la riforma della prescrizione, è l’unica forza che porta avanti un lavoro in termini di riforme: da quella sul codice degli appalti al fisco». E come il giurista partenopeo eletto a Palazzo Madama all’uninominale ci sono almeno altri due senatori interessati al partito di via Bellerio. L’identikit è simile: esponenti M5s provenienti dal Meridione, figure professionali che non provengono dal movimentismo e che non ci stanno – spiega un altro grillino che è in trattativa con la Lega – a «svendersi a chi vuole salvaguardare solo i propri fedelissimi ed è scollegato con la realtà, connesso solo con la piattaforma di Casaleggio».

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LA SCOSSA
Al momento al di là di qualche passaggio – l’ultimo l’azzurro Minardo nelle file del Carroccio – non c’è stato alcun terremoto al Senato. Ma la scossa ora potrebbe arrivare proprio dal gruppo pentastellato. «Il messaggio di Grillo – spiega ancora Grassi – nella forma e nei toni ha creato ancor più disagio tra i miei colleghi. Vogliono creare le condizioni per far uscire dal gruppo i dissidenti. Non ha certo portato soluzioni, anzi». Quella chiamata a virare a sinistra ha scontentato una larga parte del gruppo. A partire da Paragone: «Ha perso la bussola», spiega l’ex direttore della Padania che però qualora dovesse lasciare il Movimento andrebbe nel gruppo Misto. «Accompagnato da tanti altri...», ride un altro malpancista.
Dopo l’appello di Salvini ai delusi M5s («Porte aperte») «sono stati in tanti – dice un big lumbard – a chiedere informazioni, a muoversi. Prima erano solo due o tre, ora sono molti di più». Senatori che apprezzano il “reclutamento” della Lega al Sud, che gradiscono l’avvicinamento del Carroccio al Ppe. Il malcontento è diffuso: «L’unico collante del Movimento doveva essere la competenza. E’ mancata. Di Maio ha perso l’occasione non cambiando nulla rispetto al primo governo».

Il timing del redde rationem nel Movimento 5 stelle potrebbe scattare quando verranno discusse le modifiche allo Statuto del gruppo. La richiesta è che sia l’Assemblea l’organo in cui decidere la linea politica. «Quando si accorgeranno che il tentativo di introdurre criteri democratici è destinato a fallire, allora in molti si domanderanno sul serio cosa fare», osserva un senatore annoverato tra i cosiddetti “critici”. I terreni di scontro non mancano. Di Maio – si dice convinto un altro ribelle M5s - rilancia le battaglie storiche come la riforma della prescrizione e dell’acqua pubblica («Non la voteremo mai», afferma un sottosegretario del Pd) solo per stoppare le fughe. «Ma - aggiunge la stessa fonte - ormai qui sarà un fuggi fuggi».

Tuttavia proprio mentre Salvini ha dato il via ai suoi ad accelerare lo scouting tra i pentastellati arrabbiati si sta muovendo tutto un fronte per bilanciare la controffensiva leghista. Qualche giorno fa durante una cena ad Arcore Berlusconi ha letto agli invitati una lettera personale inviatagli dall’esponente forzista Mallegni. Accuse nette: «Presidente ti sei fatto narcotizzare» da chi sta al tuo fianco, «ci hai impedito per 14 mesi di fare opposizione alla Lega». Con una postilla che è condivisa perlomeno da una ventina di senatori di FI: se dobbiamo suicidarci scegliamo noi – questo il ragionamento - il campo da gioco e le armi. Al momento l’operazione “responsabili” è sospesa ma l’ala moderata del partito azzurro è sempre più in fibrillazione. La spinta per arrivare a gruppi autonomi è ripartita mentre è in corso un dialogo tra Berlusconi e Carfagna per evitare traumi nei gruppi. Sotto traccia così i renziani hanno ripreso il dialogo con chi non vuole consegnarsi a Salvini. «La verita’ – rimarca Rotondi – è che se dovesse suonare la sirena a palazzo Madama non nascerebbe un gruppo di stabilizzatori, ce ne sarebbero almeno quattro...». 

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