M5S cambia ancora pelle, ​ecco chi perde e chi vince

M5S cambia ancora pelle, ecco chi perde e chi vince
di Diodato Pirone
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 4 Agosto 2021, 10:48 - Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 04:40

Ogni agosto che passa segna un passo avanti nell'evoluzione di 5Stelle. L'anno scorso di questi tempi gli iscritti furono chiamati a votare sul superamento del secondo mandato dei sindaci. Dissero "sì" rompendo con uno dei comandamenti grillini: mai politici professionisti. Quest'anno è arrivato il "si" alla riforma della giustizia (assai diversa da quella varata con la collaborazione della Lega durante il Conte/1)  e il "si" alla leadership dell'ex premier Giuseppe Conte con l'approvazione dello statuto da lui eleborato. Che cosa significa tutto questo?

A livello "macro" tutto sommato si può dire che si tratta di una buona notizia per l'equilibrio del fragile sistema politico italiano. Il Movimento si è trasformato in partito. E questo dato è un elemento sistemico stabilizzante al di là delle simpatie o meno che si possano avere per il M5S.

M5S, ecco il pagellone

 

Da tempo poi ma in particolare con la nascita del governo Conte/2 il Movimento ha segnato un'evoluzione ulteriore con il graduale abbandono di parole d'ordine massimaliste, l'ingresso sia pure critico nel campo degli europeisti, il confronto sempre più maturo con le difficoltà della realtà e persino con l'emergere di una spinta fortemente ministeriale che per la verità era emersa fin dalle prime nomine seguite all'arrivo nella "stanza dei bottoni".

Conte si prende il Movimento, via libera al nuovo statuto: «Da qui la nostra ripartenza»

Sul piano della geografia interna al Movimento i numeri parlano chiaro.

Il M5S aveva eletto nel 2018 ben 212 deputati. Gliene restano (iscritti al gruppo e quindi "pagantI" i relativi contributi) 160 e di questi 16 - dunque il 10% - ieri non erano presenti al momento del voto definitivo della riforma della giustizia.

Questi numeri riflettono il profilo del Movimento: il corpaccione sta con Giuseppe Conte e la sua leadership anche se non mancano (e in quale partito non ci sono?) i mal di pancia.

Giustizia, sì alla Camera ma assenti in 60: caos M5S

Chi ha vinto questo round sul piano personale?

Sicuramente Giuseppe Conte emerge come primo leader stabile del M5S, con chiari punti di riferimento e un piano d'azione non erratico. E' riuscito a modificare leggermente la riforma Cartabia e, importante o modesto che sia, questo è un dato politico che nessuno può contestargli. Molti osservatori sostengono che Conte lavorerebbe alla caduta del governo Draghi ma una missione così delineata non pare nelle corde dell'ex avvocato del popolo di cui una cosa abbiamo imparato a conoscere nei suoi anni di governo: l'avversione a linee avventurose e poco meditate.

Fra i vincitori c'è anche Beppe Grillo. Lo scontro smodato con Conte gli ha consentito di mantenere un ruolo non solo di facciata nel Movimento e tutto sommato il via libera alla Cartabia nasce anche dalla mancanza di una sua opposizione.

 

Personaggio sempre più solido nel Movimento è Luigi Di Maio. Regista della difficile ricucitura fra Conte e Grillo, molto attivo come ministro degli Esteri, ruolo sempre difficile per un paese che non segue la politica estera salvo accorgersi della sua importanza quando è troppo tardi, Di Maio si è collocato al centro di una rete di collegamenti interni e esterni al Movimento ed è molto attento all'asse con Dario Franceschini. Asse che non solo dovrebbe portare ad uno stabile rapporto politico ma che potrebbe rivelarsi decisivo nella partita per il Quirinale che si aprirà di fatto dopo le comunali.

Fra i vincitori c'è anche Roberto Fico, presidente della Camera e da sempre uomo molto attento ai rapporti fra il Movimento e la sinistra.

Riforma della Giustizia, ancora tensioni nel M5s: Conte convoca i deputati

Tutta l'ala "governista" del Movimento, dai D'Incà, ai Fraccaro ai Patuanelli esce rafforzata dal doppio voto sulla Cartabia e sulla leadership di Conte.

E gli sconfitti? I malpancisti sono numericamente più forti di quanto sembra emergere ma finora non hanno trovato né un punto di riferimento forte né una tattica parlamentare che ne mettesse in avidenza lo spessore. Alessandro Di Battista e Barbara Lezzi finora hanno rappresentato bene l'amarezza e la rabbia per l'abbandono della linea del "vaffa" ma non ne hanno fatto emergere compiutamente una alternativa. Vedremo se nel centro-destra troveranno qualche sponda. Non sarà facile. Anche perché alle elezioni del 2023 ci saranno solo 600 posti in palio e non più i "soliti" 945.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA