M5S, rivolta in Senato, Di Maio: «Segreteria a 12»

M5S, rivolta in Senato, Di Maio: «Segreteria a 12»
di Simone Canettieri
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Giovedì 26 Settembre 2019, 07:51 - Ultimo aggiornamento: 12:55

Vorrebbe parlare solo di geopolitica, Luigi Di Maio. Invece da New York il ministro degli Esteri e capo politico grillini è costretto a condire le sue incursioni su Iran e Libia, Trump e Russia, con la faccende interne del Movimento, vicino all'implosione, tra venti di scissione, rivolte contro il leader, veleni, documenti esplosivi, fascinazione verso la figura del premier Conte.

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Di sicuro, la mossa dei senatori proprio nei giorni della sua missione all'Onu lo ha fatto infuriare. A chi lo raggiunge oltreoceano confessa che qualche poltronaro ha carpito la buonafede del gruppo. Sta di fatto che il documento firmato da 70 senatori su 103 è un caso complicato da gestire. Sullo sfondo c'è il ruolo del Capo politico e la continua invocazione a Beppe Grillo. «È giusto che ci sia chi non è d'accordo. Ma far passare quelle 70 firme per 70 firme contro di me. Ci sono persone che potrei definire amiche e con cui lavoro ogni giorno che mi hanno chiamato e mi hanno detto che è un grande malinteso», prova subito a tamponare il titolare della Farnesina. Consapevole che i nodi non risolti sono sempre di più e in ballo c'è la tenuta dei gruppi. Ecco perché è costretto ad annunciare al più presto la ristrutturazione del M5S: un organismo di 12 componenti integrato d'ufficio dai due capigruppo di Camera e Senato e dal garante Beppe Grillo. «Il futuro del movimento - sottolinea - è un'organizzazione, non una struttura, che aiuti i cittadini a fare arrivare le proprie istanze, i propri problemi». Il clima è esplosivo. Il pranzo nei pressi della Camera tra Barbara Lezzi e Giulia Grillo, ex ministre del governo gialloverde non confermate, diventa un piccolo, grande caso politico. Entrambe sono molto deluse per il trattamento ricevuto da Di Maio e ne contestano la leadership, entrambe hanno seguito territoriale (in Puglia e Sicilia) e invocano il ritorno di Beppe Grillo. Di sicuro, la velocità con cui Di Maio torna a parlare di una segreteria allargata a 12 persone per gestire il Movimento dà soddisfazione a tutte le anime critiche. Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia, plaude all'iniziativa ma rilancia: «Chi saranno i 12? Come saranno scelti? Attraverso Rousseau, con il sistema delle autocandidature, saranno emanazione di Luigi?». Uno dei nodi è proprio questo, appunto. Basti vedere il caos per l'elezione del nuovo capogruppo alla Camera con ben 11 pretendenti in lizza e una marea di cordate che si sfidano all'ultimo voto.

IL CLIMA
I focolai di rivolta sono tanti, sparsi qua e là. Si contesta tutto e il contrario di tutto a Di Maio. C'è per esempio chi non digerisce ancora l'accordo con il Pd. E quindi Davide Barillari, consigliere regionale del Lazio, dà appuntamento ai ribelli per domenica a Firenze. Ma quanti sono? «Sedicimila: tutti quelli che hanno votato no all'accordo con il Pd sulla piattaforma Rousseau», rilancia Barillari. Che si trova in casa anche il problema di cosa fare con la Regione guidata da Nicola Zingaretti. Il Pd offre al M5S due posti (per i tecnici) in giunta. Roberta Lombardi, la capogruppo, è possibilista («ma non adesso»), l'antagonista Valentina Corrado la gela: «Non esiste nessuna decisione di gruppo o votazione su Rousseau che possa derogare alla coerenza». Un dossier, quello del Lazio, che si somma a quello appena aperto in Umbria e che prima o poi dovrà essere acceso anche in Emilia Romagna dove si vota, sempre per le regionali, il prossimo gennaio. Vertenze locali che però si aggiungono al caos nazionale del Movimento. Di Maio è costretto a divincolarsi dalla stretta di Renzi e Salvini sui parlamentari pentastellati e allo stesso tempo sa che alle sue spalle si agitano nuove figure. Non c'è solo Alessandro Di Battista, da sempre critico sull'abbraccio con il Pd. Su questo fronte c'è anche l'attivismo (mediatico) di Gianluigi Paragone, pronto a far da calamita nei confronti dei colleghi malpancisti. Dalla parte opposta ci sono anche Morra e Lezzi più una pletora di ex sottosegretari e viceministri che ormai girano in gruppo in Transatlantico: «Luigi ci ha proprio deluso». E si va così. In attesa della mossa del capo politico. I primi segnali sono attesi già oggi pomeriggio. Obiettivo: arrivare - «chiavi in mano» - alla festa per i 10 anni del Movimento, in programma fra due settimane a Napoli, con un organigramma rivoluzionato.
 

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