Barbara Lezzi, ministro per il Sud: «Autonomia, sui soldi nessuno ok»

Barbara Lezzi, ministro per il Sud: «Autonomia, sui soldi nessuno ok»
di Andrea Bassi
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Sabato 2 Marzo 2019, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 4 Marzo, 08:44
Ministro per il Sud Barbara Lezzi, sulla richiesta di autonomia di Lombardia, Veneto ed Emilia ci sono due posizioni. La prima sostiene che è una secessione dei ricchi. I governatori del Nord dicono, invece, che tutti hanno da guadagnarci. Lei che ne pensa di queste intese?
«Partiamo dal principio».

Ossia?
«In realtà non c’è ancora nessuna intesa. In consiglio dei ministri sono semplicemente arrivate delle bozze. Dunque non si può avallare nessuna tesi». 

Lo scorso 14 febbraio, quando si è tenuto il consiglio sulle autonomie, di cosa avete parlato allora?
«Solo delle linee di principio contenute in quelle bozze. Mancano ancora i passaggi più importanti». 

Eppure il giorno prima del consiglio, il ministro delle autonomie Erika Stefani e il vice ministro dell’Economia Massimo Garavaglia hanno fatto un comunicato per dire che sulla parte finanziaria l’accordo con il Tesoro era raggiunto. I soldi non sono proprio un dettaglio?
«Su questo punto ho scambiato alcune parole con il ministro dell’Economia Giovani Tria». 

E cosa le ha detto?
«Che la questione delle risorse non è stata ancora definita. Se manca quella manca tutto. Se si parla di autonomia differenziata il punto cardine sono proprio le risorse. E su questo ho molte domande che quando arriveranno le intese porrò a chi le sottopone. Soprattutto ai governatori».

Quali sono queste domande?
«Ci sono diverse contraddizioni nel testo quando si parla di passaggio dai costi storici ai fabbisogni standard».
Le bozze dicono che nel periodo transitorio alle tre Regioni va garantito comunque il valore medio nazionale pro-capite. Secondo Fitch solo per il Veneto questo meccanismo aumenterebbe il bilancio di 6 miliardi?
«La mia prima domanda è semplice: perché c’è questo doppio parametro?».

Già, perché?
«Perché probabilmente Veneto e Lombardia sono sotto la media in alcuni servizi che richiedono. Quindi si chiede il contributo di altre Regioni? Mi auguro di no, e del resto su questo il presidente Conte ha già dato rassicurazioni, anche perché i progetti di autonomia differenziata nascono dalla richiesta di avere un dividendo di efficienza».

In realtà, sempre stando alle bozze, le tre Regioni vorrebbero anche il surplus di gettito Irpef legato alle funzioni trasferite.
«Io chiedo a chi propone queste intese e che quindi ha disegnato anche l’attuazione, come contribuiranno poi queste Regioni ai saldi di finanza pubblica e alla partecipazione all’Unione europea? Poi faccio ancora un’altra osservazione».

Che osservazione?
«Noi come governo vogliamo diminuire l’Irpef». 

Certo, la Lega ha nel suo programma la flat tax.
«Che succede se diminuiamo l’Irpef? Spero abbiano delle risposte convincenti». 

Nelle prime bozze era scritto che in caso di riduzione delle aliquote lo Stato avrebbe dovuto garantire una maggiore compartecipazione alle Regioni “autonome”?
«Tutti questi dettagli dovranno essere regolati con precisione chirurgica nelle intese». 

Ma non sarebbe stato più opportuno stabilire prima i livelli essenziali delle prestazioni e i fabbisogni standard e poi avviare il dibattito sulle risorse?
«Esiste una commissione ad hoc che ha lavorato per tre anni sui fabbisogni standard e non è ancora riuscita a definirli. Così come i livelli essenziali di prestazione che sono indicati in Costituzione ma non ancora individuati. Quindi in virtù della leale collaborazione che ci deve essere tra lo Stato centrale e le Regioni, noi ci dobbiamo prima dare un tempo congruo per risolvere queste questioni e solo dopo si avvia l’autonomia. Questo non significa opporsi».

No?
«No. Significa rendere più agevole e fluida l’attuazione delle autonomie». 

Però messa così sembra difficile chiudere in tempi brevi, entro la fine dell’anno, come chiedono i governatori?
«Per noi va bene fare presto. Basta individuare i livelli essenziali e i fabbisogni standard entro la fine dell’anno. Ci si mette ventre a terra, si lavora 24 ore al giorno e si fa». 

Dunque prima dei Lep nessuna autonomia?
«Per quanto mi riguarda no. Ma serve a tutelare le stesse Regioni che la richiedono».

Le intese dovranno essere emendabili dal Parlamento oppure no?
«Non è immaginabile che l’intesa che esce dal consiglio dei ministri non sia modificabile dal Parlamento. Comunque su questo c’è una interlocuzione tra i presidenti delle Camere e il Capo dello Stato. Mi affido completamente a loro, sono loro che dovranno individuare il percorso».

Nelle bozze di autonomia c’è scritto che i ministeri romani andranno “ridimensionati”. Il ruolo della Capitale, e il rischio di depauperamento, non sono un problema?
«Certamente per Roma non potrà esserci uno svuotamento. Sarà dunque necessario discuterne, perché stiamo parlando di una forte delocalizzazione di strutture. Le Regioni che chiedono l’autonomia dovranno farsi carico di quanto viene tolto alla città di Roma. Proprio per questo torno a sottolineare l’importanza del passaggio parlamentare. Lì sono rappresentati tutti i territori. E tutti dovranno poter dire la loro sulle intese».

Tra le richieste delle Regioni c’è anche quella di avere la proprietà delle infrastrutture. La Lombardia vuole un pezzo dell’Autostrada del Sole?
«Anche qui: chi ha investito per costruirla, solo la Lombardia? E poi come si fa a fare un pedaggio differenziato? Non si possono spezzettare le infrastrutture che uniscono l’Italia». 

Il Nord ha molte più infrastrutture del Sud.
«Assolutamente sì. Anche perché non è mai stato rispettato il vincolo di destinare al Mezzogiorno almeno il 34% delle risorse ordinarie dei ministeri per gli investimenti infrastrutturali. Noi ora lo abbiamo reso obbligatorio inserendolo nella normativa».

Che però resta disattesa. I ministeri dovevano trasmettere i piani il 28 febbraio e non l’hanno fatto?
«Invierò una lettera a tutti i ministeri. Il dato andrà inserito nel Def». 
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