Il nodo è ormai tutto politico e la Merkel lo spiega bene quando dice ai suoi concittadini che «la Germania andrà bene se tutta l’Europa andrà bene». Come dire che è inconcepibile un destino diverso di Berlino dall’attuale Unione, che la Germania trae la sua forza per competere con Cina e Usa solo all’interno dell’Europa, ma al tempo stesso avverte dei pericoli che corre la costruzione europea se esce divisa dalla sfida del coronavirus. A poche settimane dalla fine del suo mandato, e dopo vent’anni di Cancelleria, è difficile pensare che la Merkel lasci il suo Paese in un’Europa debole e preda dell’aggressività trumpiana.
Tutti scommettono su un’intesa basata sulla solidarietà. Anche i mercati, in salita da qualche giorno, sembrano auspicare un accordo che preveda i coronabond. Una speranza che diviene certezza se si considera che l’alternativa ad un’intesa sarebbe una pesantissima recessione accentuata dalla frantumazione dell’Europa.
A pesare molto in questa battaglia è stato il ruolo svolto dalla Francia che si è schierata con Italia, Spagna e altri sei paesi. Le parti principali del motore europeo sono sempre stati a Parigi e Berlino, ma dopo trent’anni dalla riunificazione tedesca e l’uscita del Regno Unito, si coglie una certa difficoltà della Francia di arginare da sola la potenza della Germania. Si apre uno spazio per l’Italia se non fossimo alle prese con un paradossale dibattito guidato da una nutrita pattuglia di partiti euroscettici ed anti europeisti che dopo anni trascorsi a chiedere l’uscita dall’euro e dall’Europa, ora la invocano alzando di continuo l’asticella delle richieste per poterne poi biasimare i limiti.
L’Europa ha molti difetti - distinti però da quelli dei paesi europei- ma questa pandemia non ha mostrato alternative mentre il sovranismo langue e si trasforma in autoritarismo.
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