Ius soli sportivo, cos'è la legge che tutela gli atleti nati all'estero (e perché Malagò lo chiede)

Malagò: «È ora di riconoscere lo ius sportivo». Cos'è la legge che tutela gli atleti
di Stefania Piras
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Lunedì 2 Agosto 2021, 13:04 - Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 04:11

Lo ius soli sportivo è una norma del 2016 che il presidente del Coni Giovanni Malagò propone di estendere il giorno in cui Marcell Jacobs ha vinto la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Tokyo nei 100 metri. Jacobs è italiano nato all'estero e ha da sempre la cittadinanza italiana iure sanguinis: la mamma è di Desenzano (Brescia). Ma allora perchè grazie alla sua medaglia si torna a parlare di ius soli? Perché è nato all'estero. Il suo essere metà americano, nato in Texas, ha riaperto questa prospettiva, quella dello ius soli limitato a chi pratica sport (quindi non uno ius soli tout court): la possibilità per gli atleti minorenni, nati all'estero ma che vivono e si allenano in Italia, di poter avere la cittadinanza (e quindi essere selezionati in nazionale e indossare la maglia azzurra). Se ne era parlato anche quando è stata scelta come portabandiera la pallavolista Paola Egonu, nata e cresciuta in Italia che ha ottenuto la cittadinanza italiana a 14 anni solo quando suo padre, nigeriano, è riuscito ad avere il passaporto italiano. Nota bene: senza cittadinanza, Egonu, non avrebbe potuto guidare la nazionale e vincere il mondiale giovanile. 

Lo ius sportivo è una proposta che mira al riconoscimento della cittadinanza, dunque, per meriti sportivi. L'ha avanzata il presidente del Coni Giovanni Malagò che da Tokyo ha preso spunto proprio dalla vittoria di Jacobs per rilanciarla. 

«Noi vogliamo occuparci di sport e non riconoscere lo ius soli sportivo è qualcosa di aberrante, folle.

Oggi va concretizzato: a 18 anni e un minuto chi ha quei requisiti deve avere la cittadinanza italiana», queste le parole di Malagò. 

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In Italia vige lo ius sanguinis, espressione latina che si traduce "diritto del sangue", è il diritto a essere italiano se si nasce da genitori italiani (come è il caso proprio di Jacobs che ha la mamma di Desenzano del Garda). 

Poi, c'è un dibattito di tipo politico sullo ius soli che si vorrebbe introdurre in Italia perché non esiste. Lo ius soli, sempre dal latino, significa "diritto del suolo". Cos'è? E' il diritto a ottenere la cittadinanza italiana, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori, semplicemente se si nasce in territorio italiano. La propose come prima legge da varare al governo ormai molti anni fa (2013) Pierluigi Bersani che all'epoca era nel Pd ed era candidato premier alle elezioni. 

Sono passati 8 anni e la sinistra ci sta riprovando, con scarso successo. L'aveva rilanciato anche due anni fa, quando aveva pensato di intodurre lo ius culturae, il diritto a essere italiani perché immersi nella cultura italiana. Il principio su cui si basa permette ai minori stranieri di acquisire la cittadinanza del Paese in cui sono nati o in cui vivono da un certo numero di anni, a condizione che in quel Paese abbiano frequentato le scuole (in genere un ciclo di studi) o abbiano compiuto percorsi formativi per un determinato numero di anni. 

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E lo ius sportivo, cos'è? Il team italiano che sta gareggiando a Tokyo conta ben 55 atleti nati all'estero (Marcell Jacobs è tra questi). Il presidente Malagò dice che è assurdo che atleti che rappresentano l'Italia in competizioni sportive di massimo livello debbano affrontare una «via crucis» per vedersi riconoscere la cittadinanza.  

«Oggi va concretizzato: a 18 anni e un minuto chi ha quei requisiti deve avere la cittadinanza italiana», ha rivendicato il presidente del Coni Giovanni Malagò, in un punto stampa a Casa Italia appena di ritorno dallo stadio Olimpico di Tokyo dove poco prima l'azzurro sorprendeva tutti laureandosi il più veloce del mondo: «Noi vogliamo occuparci di sport e non riconoscere lo ius soli sportivo è qualcosa di aberrante, folle», sottolinea il capo dello sport italiano, facendo leva sulla storia di Jacobs, 26enne nato a El Paso in Texas, ma cresciuto a Brescia e italianissimo fin dalla cadenza dialettale. 

Perché il presidente Malagò parla di via crucis? Facciamo un passo indietro. Una legge del 2016 consente ai minori stranieri di essere tesserati per società italiane («Disposizioni per favorire l’integrazione sociale di minori stranieri residenti in Italia mediante l’ammissione in società sportive appartenenti alle federazioni nazionali»). Una norma voluta e approvata per contrastare il traffico dei baby calciatori. Ci sono però delle limitazioni che complicano la carriera agonistica di questi atleti. 

Se sei un minorenne e un immigrato in Italia, e non possiedi la cittadinanza italiana, puoi essere tesserato da un club italiano e partecipare alle competizioni. L'unica condizione è che devi essere residente in Italia «almeno dal compimento del decimo anno di età». Perfetto, no? No, gli immigrati minorenni, residenti in Italia ma senza cittadinanza, non possono essere convocati nelle squadre nazionali. Non possono indossare la maglia azzurra fino a che non compiono la maggiore età (ecco perché Malagò dice: «A 18 anni e un minuto devono avere la cittadinanza italiana»). Mentre quando compiono 18 anni, questi atleti possono solo avviare l'iter burocratico per ottenere la cittadinanza.

Matteo Salvini, segretario della Lega, fredda il dibattito con una frase lapidaria: «Godiamoci le medaglie, non c'è bisogno di cambiare alcuna legge». 

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