Italia-Russia, come la guerra ha cambiato i rapporti dal gas alla visita di Draghi a Kiev

Storicamente nei momenti di stabilità internazionale i rapporti tra Roma e Mosca assumono contorni cooperativi, ma quando l’ordine globale entra in crisi tendono a incrinarsi

Italia-Russia, come la guerra ha cambiato i rapporti dal gas alla visita di Draghi a Kiev
di Mario Ajello
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Lunedì 2 Maggio 2022, 11:35 - Ultimo aggiornamento: 3 Maggio, 09:24

«L'Italia ci ha sorpreso». Negativamente. L’affondo del ministro degli esteri russo, Lavrov, è sotto gli occhi di tutti: “L'Italia è in prima fila tra coloro che adottano e promuovono le sanzioni anti-russe: per noi è stata una sorpresa, eravamo abituati all'idea che l'Italia, grazie alla sua storia, sapesse distinguere il bianco dal nero". È un po’ è vero che i rapporti dell’Italia con la Russia lungo la storia sono stati spesso ottimi ma non sempre  e non comunque. Molti sostengono che una delle “costanti” della nostra politica estera sarebbe la naturale ricerca di una partnership con Mosca. Tanto è vero che il mese prima dell’inizio dell’invasione russa in Ucraina una serie di aziende italiane come Pirelli, Generali, Enel, Unicredit e Intesa Sanpaolo hanno incontrato in videconferenza il presidente russo Putin. L’incontro ha rilanciato la vulgata secondo cui una delle “costanti” della nostra politica estera sarebbe la naturale ricerca di una partnership con Mosca. Ma la realtà dei fatti storici è più complessa e quindi. in deve stupire del tutto l’attacco di Lavrov in queste ore. La storia ci dice che nei momenti di stabilità internazionale i rapporti tra Roma e Mosca assumono contorni tendenzialmente cooperativi. Ma quando l’ordine globale entra in crisi, tendono a incrinarsi.

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La storia delle relazioni Italia-Russia

Nei periodi di crisi generale, una media potenza come l’Italia non può che allinearsi con un alleato “maggiore”. E se questo si trova sul fronte avverso alla Russia anche i nostri rapporti con quest’ultima diventano competitivi.
È quanto accaduto negli anni Venti e nei primi anni Trenta quando, a dispetto delle differenze di regime, le relazioni tra Roma e Mosca conobbero un continuo crescendo. Dal riconoscimento ufficiale dell’Urss da parte dell’Italia fascista (1924), passando per il viaggio a Odessa di Italo Balbo (1929) e i primi accordi con la Fiat (1931), fino al Patto italo-sovietico (1933).
Con il progressivo abbraccio fatale tra Italia e Germania nazista, le relazioni con l’Urss subirono una rapida involuzione.

L’adesione dell’Italia al Patto anti Comintern e l’affondamento di alcune imbarcazioni sovietiche nel Mediterraneo da parte dei nostri sottomarini (1937) furono seguite dall’espulsione degli italiani dal Caucaso sovietico, dalla chiusura di tutti i consolati nell’Urss e dal progressivo azzeramento dei rapporti commerciali. La partecipazione italiana all’Operazione Barbarossa (1941) fu, quindi, solo il picco di un climax competitivo.

 

La guerra fredda

Poi, a conflitto mondiale concluso, ecco la  Guerra fredda. Nella prima fase  l’Italia si ritagliò una certa autonomia nelle relazioni con l’Urss. Alla chiusura della questione dei prigionieri di guerra (1959), seguirono le partnership siglate da Eni e Finsider (1960), l’accordo della Fiat per costruire stabilimenti automobilistici a Togliattigrad (1965) e il contratto di Eni per la fornitura di gas naturale sovietico (1969).
Con la fine della distensione, i rapporti tra Roma e Mosca conobbero un’involuzione. Anticipata dal progetto dell’eurocomunismo del Pci (1975), questa subì un’accelerazione con l’allineamento italiano alla politica dell’amministrazione Carter sugli euromissili (1979), il boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca (1980) e la denuncia della presenza di un sottomarino sovietico nel Golfo di Taranto (1982). Il culmine della tensione fu raggiunto con l’installazione dei missili Pershing e Cruise nell’aeroporto militare di Comiso (1983).
Dopo il fatidico triennio 1989-1991, Roma fu tra i principali sponsor dell’integrazione di Mosca nel nuovo ordine internazionale. I buoni uffici tra i due paesi si tradussero nel Trattato di amicizia e cooperazione (1994), risultando consacrate dall’impegno di Silvio Berlusconi per l’istituzione del Consiglio Nato-Russia (2002) e in quello di Romano Prodi per la progettazione di un gasdotto – il South Stream – che avrebbe dovuto collegare Italia e Russia (2006).

Sempre Prodi lavorò per mitigare la volontà americana di promettere esplicitamente a Ucraina e Georgia la membership Nato al vertice di Bucarest (2008), mentre Enrico Letta fu il solo leader europeo a partecipare all’inaugurazione dei giochi olimpici di Sochi nonostante la crisi in Ucraina (2014).

Gli effetti del fallimento della politica obamiana di reset e della postura revisionista assunta dalla Russia, tuttavia, non tardarono ad arrivare. Roma sostenne le sanzioni per l’annessione illegale della Crimea, a cui Mosca rispose con contro sanzioni e la – non casuale – sospensione del progetto South Stream (2014).
Il Cremlino, inoltre, ha sostenuto in Libia le forze del generale Khalifa Haftar contro il governo di Tripoli appoggiato da Roma, che nel frattempo ha dislocato 140 soldati in Lettonia nell’ambito dell’Enhanced Forward Presence della Nato (2016). Più di recente le relazioni tra i due paesi non sono migliorate.
Dai sospetti di data mining suscitati dall’operazione From Russia with love per l’emergenza Covid-19 (2020), passando per l’arresto di un militare italiano accusato di passare documenti segreti a ufficiali russi (2021), siamo arrivati alla scelta di Roma di aumentare la spesa militare per nuovi sistemi d’arma che sembrano funzionali al contenimento della presenza russa in Siria, Libia e Mali.
Nella crisi Ucraina, il governo italiano si è limitato a ribadire fedeltà alla Nato attraverso le dichiarazioni del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, mentre il ministro degli Esteri Luigi Di Maio sostiene il formato Normandia per favorire «una de-escalation delle tensioni».
Ma c’è una questione di fondo che frena un maggiore coinvolgimento dell’Italia: la questione energetica. Dopo la Germania, il nostro paese importa il 43,3 per cento (dati del ministero della Transizione ecologica) del gas naturale dalla Russia.

La posizione dura di Draghi

Ma Draghi  adesso, in questa fase di guerra durissima, tra il viaggio a Washington e quello a Kiev nei prossimi giorni, sull’energia sta assumendo una posizione dura verso la Russia. E viene considerato più in linea con il rigore atlantista che con i dubbi europeisti sul  blocco del gas russo. Infatti, secondo  il Financial Times, "il nuovo e duro approccio del premier Mario Draghi con la Russia segna uno dei più grandi cambiamenti di politica estera in Europa da anni". Lo “stupore” di Lavrov nei nostri confronti dunque c’è eccome. Ma guardando la storia ci si può anche stupire del suo “stupore” e anche di quello della Financial Times.

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