Governo, dialogo difficile tra Pd e M5S. Zingaretti apre: «Si può lavorare». Incontro delegazioni nel pomeriggio

Zingaretti, le tre condizioni inderogabili. Lite con M5S sul taglio parlamentari
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Giovedì 22 Agosto 2019, 14:50 - Ultimo aggiornamento: 23 Agosto, 07:23

In una giornata nervosissima parte il dialogo Pd-M5s con il via libera del Quirinale che ha concesso altri quattro giorni di tempo per «soluzioni chiare». Ma è stata una giornata al cardiopalma, tra sospetti sui quasi alleati e rischi di fuoco amico. Zingaretti e Di Maio, ora soci nella ricerca di un patto per un «governo di svolta», salgono al Colle a distanza di 5 ore e si sfidano senza citarsi né svelare se stanno giocando la partita insieme. La partita tattica è giocata su documenti e punti programmatici poi proposti al presidente Mattarella, come paletti fondamentali per negoziare. Per il Pd, sono i 5 punti programmatici votati il giorno prima all'unanimità al Nazareno. Il Movimento raddoppia la base di trattativa e a Mattarella offre un decalogo.

L'incontro tra i capigruppo M5S Francesco D'Uva e Stefano Patuanelli e la delegazione Pd formata dai capigruppo Andrea Marcucci e Graziano Delrio e dai vicesegretari Andrea Orlando e Paola De Micheli è previsto nel pomeriggio. A spiegarlo è D'Uva al termine di una riunione notturna dei vertici del M5S. Il luogo dell'incontro non è stato ancora stabilito ma non si esclude che sia alla Camera o al Senato.

Vertice dello stato maggiore del M5S in tarda serata, dopo la fine dell'assemblea dei gruppi del Movimento. Alla riunione, oltre al capo politico del Movimento Luigi Di Maio partecipano, tra gli altri il ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro e Alessandro Di Battista. Al tavolo gli esponenti pentastellati sono circa una decina.


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Per i 5S si va dal taglio dei parlamentari alla tutela dell'ambiente, passando per la riforma della giustizia, del sistema bancario fino al conflitto di interessi. Su tutti, prevale la riforma costituzionale 'interrottà all'ultimo miglio: «Deve essere una priorità in Aula», scandisce Di Maio alla stampa. Ma su chi sia l'altro giocatore seduto al tavolo, si limita a dire: «Sono state avviate tutte le interlocuzioni». Alla Lega riserva solo una frecciata, netta e accusatoria, ricordando che il governo gialloverde si basava «sulla lealtà tra forze politiche, che è stata minata da una rottura unilaterale».


Per il secondo round di consultazioni, i Democratici entrano per secondi nella stanza del presidente (prima, la delegazione di Fratelli d'Italia, ultimi i 5S) e sono i più numerosi. Oltre al segretario, ci sono i capigruppo parlamentari Delrio e Marcucci e i vertici del partito, il presidente Paolo Gentiloni e la vice Paola De Micheli. «Abbiamo manifestato al presidente della Repubblica la disponibilità a verificare la formazione di una diversa maggioranza e l'avvio di una fase politica nuova e un governo nel segno della discontinuità», spiega Zingaretti a fine colloquio. Ripete quindi le condizioni annunciate ieri: «Non un governo a qualsiasi costo, ma di svolta e con un programma nuovo». Insomma al capo dello Stato il Pd sciorina i 5 punti che Zingaretti definisce poi «non negoziabili», a partire dalla «vocazione europeista» dell'Italia. Gli altri quattro sono la centralità del Parlamento, la sostenibilità ambientale, nuove politiche migratorie e la svolta delle ricette economiche e sociali. Aspetti che non si incrociano con quelli del Movimento definiti da Di Maio «obiettivi prioritari per gli italiani», anche perché alcuni racchiudono temi-bandiera del M5s come la riduzione del numero dei parlamentari e l'acqua pubblica. Ma è proprio sul taglio degli eletti che tra i Democratici si è rischiata la lite, quando è emerso un no alla riforma, oltre a un dietrofront sui decreti sicurezza e a un pre-accordo sulla manovra. Nel pomeriggio e prima delle consultazioni dei 5 Stelle, è Zingaretti a stoppare le fibrillazioni interne: le condizioni poste al M5S (e indicate al capo dello Stato) sono i 5 punti approvati dalla Direzione. Nessun giochetto insomma, per far saltare la trattativa.​​

Di Maio ignora apertamente la questione e preferisce andare al sodo, anziché seguire la 'scorciatoià delle elezioni: «Il voto non ci intimorisce affatto ma il voto non può essere la fuga dalle promesse fatte dagli italiani. Abbiamo tante cose da fare». E a mò di nuovo capitano aggiunge: «Non lasciamo la nave affondare, perché l'Italia siamo tutti, a dispetto degli interessi di parte». Fino alla prova finale di orgoglio: «Il coraggio non è di chi scappa ma chi prova fino in fondo a cambiare le cose, anche sbagliando con sacrificio e provando a fare le cose».

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