Crisi di governo, il Conte ter è in bilico: programma e poltrone, l’intesa si allontana

Crisi di governo, programma e poltrone: l’intesa si allontana e il Conte ter è in bilico
di Marco Conti
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Domenica 31 Gennaio 2021, 22:17 - Ultimo aggiornamento: 1 Febbraio, 00:31

L’idea di un terzo incarico a Giuseppe Conte non decolla. Al punto che ieri mattina Bruno Tabacci, leader del Centro democratico e procacciatore di “responsabili”, è uscito dall’incontro con il presidente della Camera Roberto Fico sventolando di nuovo la prospettiva “fine-mondo”. Ovvero elezioni a breve anche perché - sostiene - non ci sono alternative al Conte-ter ed «è dovuto intervenire il Quirinale per spiegare che l’ipotesi Draghi non esiste». 

In realtà il Quirinale poco prima si era limitato a smentire contatti con l’ex presidente della Bce «da quando si è aperta la crisi di governo», senza esprimere valutazioni o escludere di averlo sentito prima o di poterlo fare in futuro.

Una differenza non da poco che - insieme ai sondaggi diffusi da Palazzo Chigi che darebbero Conte sopra Draghi nelle preferenze degli italiani - danno la misura di come quell’ipotesi resti sempre meno sullo sfondo e venga vista come il fumo negli occhi soprattutto dall’inquilino di Palazzo Chigi.

Ma Tabacci mette le mano avanti, per conto di Palazzo Chigi, anche su un altro aspetto: «Il programma va definito con Conte quando verrà incaricato, non prima, non funziona così». Il tavolo del programma convocato da Roberto Fico dovrebbe quindi, secondo Tabacci (alias Conte), limitarsi a dare delle indicazioni in modo da evitare che il premier diventi un notaio e mantenga un suo spazio politico. Esattamente l’opposto di quello che chiede Italia Viva e, seppur molto sommessamente, il Pd. Nella richiesta di un cronoprogramma dei due partiti si leggono i reciproci sospetti, ma anche la voglia di non lasciare margini al premier o al sorgere di nuove contese.

Diffidenze e sospetti tagliano a tal punto i rapporti tra gli alleati che per Fico sarà complicato trovare l’intesa nel merito in grado di spianare la strada ad un governo politico. Crimi, reggente del Movimento, nei giorni scorsi ha messo le mani avanti sul Mes definendolo «argomento divisivo». Ma gli argomenti in grado di creare collisioni non si limitano al Mes e all’intera strategia anti-pandemia affidata ad Arcuri. Solo il tema della giustizia contiene molte incognite (prescrizione in testa), l’economia altrettanto (reddito di cittadinanza, cashback, cantieri). Ma sul tavolo della contesa c’è, soprattutto, il Recovery Plan compresa la struttura di governance.

Renzi chiede un programma scritto, e molto ma molto dettagliato, sul modello della “grosse koalition” tedesca. L’obiettivo rimanda la soluzione della crisi lasciando Conte ancora ai margini della trattativa con il rischio di ritrovarsi, al termine della trattativa, a dover essere il mero garante dell’attuazione di una serie di impegni dettagliatissimi sia nei contenuti che nei tempi e a guidare una squadra pronta a controllare tutto ciò che passa da Palazzo Chigi. Conte, per ora, resta alla finestra, segue la trattativa attraverso i suoi gruppi che partecipano agli incontri con Fico, ma vede l’asticella alta e resta sempre convinto di essere l’obiettivo al quale punta Renzi per scardinare il quadro politico e arrivare ad un governo istituzionale, o del Presidente, sorretto da una maggioranza ampia, anche a rischio di perdere qualche senatore grillino che verrebbe compensato da arrivi da “destra”.

Il trascorrere dei giorni sta spostando il fuoco degli interessi dei partiti. Nel Pd la resa dei conti tra gli ex Ds (veltroniani contro dalemiani), e di quest’ultimi con gli ex Margherita, è a stento frenata. «Ma Bettini a nome di chi parla», si chiedeva ieri mattina il dem di area Riformista Alfredo Bazoli contestando l’idea che dopo Conte ci sia solo il voto anticipato. Nel M5S il clima è ancora più teso, ma non per le alleanze quanto per i posti nel futuro esecutivo. La fronda di coloro che dicono «mai con Renzi» serve nella trattativa per aiutare Conte. Ovvero “noi accettiamo il senatore di Scandicci, ma solo se c’è l’avvocato”. Quando però la discussione si sposta sui ministeri si coglie nella truppa parlamentare una fortissima voglia di avvicendamento che si salda alla voglia della minoranza di essere rappresentata e a quella di coloro che sono in prima linea nelle trattative. 

Il silenzio di Beppe Grillo comincia a farsi fragoroso. L’ultimo intervento sui social del comico, e fondatore del M5S, risale a metà gennaio quando, condividendo un post del grillino Trizzino, auspicò un governo con «tutti dentro», spiegando solo dopo che l’avrebbe dovuto guidare Conte. Molte cose sono cambiate da quei giorni, ma la profezia sembra decollare: l’avvocato era più saldo di ora a Palazzo Chigi, i “responsabili” non si erano dissolti, il centrodestra non aveva ancora messo al secondo posto l’ipotesi di un governo istituzionale e il timore di elezioni anticipate non si era ancora sgonfiato. 
 

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