Governo, Conte: «verifica a gennaio e taglio Irpef». Ma sul rinvio intercettazioni Pd furioso

Governo, Conte: «verifica a gennaio e taglio Irpef». Ma sul rinvio intercettazioni Pd furioso
di Emilio Pucci
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Martedì 10 Dicembre 2019, 07:41

Se qualcuno non intende proseguire con questo governo me lo dovrà dire chiaramente ed assumersi la responsabilità, «il Paese chiede chiarezza». Lo dice alla sua maniera il premier Conte, ma il suo rilancio sulla necessità dopo la legge di bilancio di un cronoprogramma è una sorta di aut aut alle forze politiche che sostengono l'esecutivo e che continuano a litigare: tanti i fronti aperti, dalla legge elettorale (Iv e' contro il modello spagnolo) alla giustizia, con il tentativo portato avanti ieri da Bonafede di rinviare l'entrata in vigore della riforma Orlando sulle intercettazioni, con conseguente irritazione da parte dei dem.

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IL PERCORSO
«Chiederò di condividere un percorso. Non possiamo proseguire con dichiarazioni o differenti sensibilità, sfumature varie e diversità di accento», la linea del presidente del Consiglio che allo stesso tempo dice di non avere dubbi sulla maggioranza, che l'impegno preso è fino al 2023, perché «occorre realizzare le riforme strutturali» senza prendere in giro gli italiani.

LE POSIZIONI
A parole Pd, M5s, Iv e Leu sono tutti concordi. La verifica, spiegano, potrebbe anche essere rafforzata da un mini rimpasto. Si conferma l'asse con i dem, visto che Zingaretti benedice l'appello, dice sì anche alla richiesta dei sindacati di stringere un patto per evitare che il Paese vada alla rovina, rimarca la necessità di dare «agli italiani sicurezza e ricostruire la fiducia» e di «costruire un'agenda del 2020 fondata sullo sviluppo, sul lavoro, sulla rivoluzione verde, su quei pilastri che possono riaccendere l'economia italiana». Sulla stessa lunghezza d'onda Di Maio che parla di «condivisione e convergenza» ma contemporaneamente sottolinea che «è doveroso stilare una lista di priorità andando a individuare le tempistiche per l'approvazione». Ok alla proposta di Conte anche dal capo delegazione di Leu, Speranza, e da Rosato di Italia viva.

LE TENSIONI
Ma la verifica di governo, chiesta a gran voce soprattutto dal Pd («o si approva o non si approva, non possiamo stare sospesi ogni giorno a Di Maio e Renzi», osserva Bettini) rischia di creare ulteriori fibrillazioni. Tanto che palazzo Chigi è costretta ad intervenire per contestualizzare le parole del premier: l'obiettivo è tracciare una road map, le riforme si potranno realizzare in un orizzonte temporale ampio, non certo in pochi mesi. Dunque basta bandierine (la richiesta arriva anche dal presidente della Camera Roberto Fico).
Ad essere inquieto è soprattutto Renzi che il 15 gennaio si presenterà nella sede del governo con il suo «piano shock da 120 miliardi». I renziani hanno già incontrato il premier, in quell'occasione hanno sottolineato soprattutto la necessità di essere maggiormente coinvolti nelle decisioni. «Se vogliono fare da soli e perdere tempo, con vertici continui, allora tanto meglio sarebbe andare a votare», il ragionamento dell'ex premier.
La legge elettorale è uno dei tasselli divisivi nella maggioranza. E non è un caso che i dem parlino di sostanziale accordo con Lega e M5s su un modello spagnolo che metterebbe in difficoltà Iv.

I NODI
Ma sono tanti i nodi da sciogliere. Il ministro della Giustizia - già aveva promosso due proroghe (la prima risalente al luglio 2018, la seconda ad aprile di quest'anno) - ha cercato di inserire nel Milleproroghe il rinvio della riforma delle intercettazioni. Per poi aprire al dialogo, «anche attraverso un decreto legge». Scatenando l'ira del Pd. E così la fragile tregua siglata qualche giorno fa rischia di saltare. Lo scoglio della riforma della prescrizione che entrerà in vigore il primo gennaio potrebbe diventare un iceberg se il Guardasigilli dovesse chiudere ad una norma che garantisca allo stesso tempo tempi ragionevoli per i processi. Un vertice non è stato ancora convocato. Nell'Aula della Camera arriverà il ddl Costa che punta allo stop della riforma Bonafede. Il Pd al momento non è orientato a votarlo ma punta a presentare una propria proposta di legge. «Se la risposta di Bonafede è questa allora ci teniamo le mani libere, deciderà il Parlamento», spiegano i dem che stanno seguendo il dossier.
 

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