«Ragazzi, faccio saltare il Movimento: state sabotando il voto su Rousseau?». Il più inferocito di prima mattina è Beppe Grillo e il suo umore non cambierà, soprattutto quando scopre che una «manina» ha invertito l'ordine delle risposte: prima «no» e poi «sì» al Conte-bis con il Pd. Da domenica notte, d'altronde, il Garante è un fiume in piena. Legge alle 23 il quesito - neutro e quasi respingente per l'iscritto medio della piattaforma - e capisce di quanto «i suoi ragazzi» stiano giocando, ancora un'altra partita, opposta alla sua. E così partono una serie di telefonate concitate a tutti i big del Movimento: da Luigi Di Maio, a Paola Taverna, passando per Pietro Dettori e Davide Casaleggio, i responsabili tecnico-politici della piattaforma che oggi è chiamata al verdetto.
Anche a Palazzo Chigi non hanno gradito la genesi della domanda, tanto che il vero appello agli iscritti del M5S arriva nel pomeriggio, ma da Giuseppe Conte. La richiesta di un «sì» convinto. Cosa che invece non farà Di Maio. Il capo politico del M5S, in asse con Davide Casaleggio, è ormai in guerra con il padre del Movimento per strategia e obiettivi futuri.
Di Maio: «Rinuncio a fare il vice». Zingaretti: «Passi avanti»
«Luigi» si affaccia subito dopo Conte su Facebook con un discorso non proprio entusiasmante: «Noi abbiamo già vinto. Il mondo aspetta l'espressione democratica del vostro voto per conoscere il futuro dell'Italia». Dicono gli uomini dell'ormai ex vicepremier: «È ovvio che Luigi non faccia salti di gioia, viene da un'impostazione di destra». Ma questi sono quasi dettagli. Perché per tutta la giornata Di Maio tiene il punto: «Per il M5S il ruolo di vicepremier è importante», dice ai ministri e ai sottosegretari riuniti di prima mattina a Palazzo Chigi. Nel suo breve discorso Di Maio torna a ribadire alla squadra di governo pentastellata che però «deciderà Rousseau».
Sono ore complicate. Piano piano escono gli ortodossi più vicini a Roberto Fico, ma anche a Nicola Morra, poi Carla Ruocco, Marta Grande. Carlo Sibilia, sottosegretario all'Interno, ammette: «Se l'intesa non passasse, ritorneremmo all'opposizione e i nostri non capirebbero». Stefano Buffagni raggiunge Roma in serata. Da buon «governista» alla fine voterà sì, ma continua a coltivare dubbi legittimi «su quale debba essere la nostra missione in un esecutivo con il Pd: dovremo essere molto compatti».
L'ASSE
I due «fratelli» del M5S si lasciano con un patto che somiglia a una tregua almeno per le prossime 24 ore. Anche perché devono fare squadra in questo momento con tutta l'area capeggiata da Grillo e Fico: i «contisti». Nel frattempo sui social parte la sfida degli influencer. Rousseau, la piattaforma del mondo perfetto, è una santabarbara. Grillo si infuria ancora e fa cambiare anche l'ordine delle due risposte. Prima c'era «no», poi appare il «sì».
Di Maio continua la giornata sulle montagne russe con il sottofondo di messaggi che lo avvertono dell'«ira di Beppe». Un importante senatore grillino dice: «Chiusa la partita del governo inizierà quella della leadership, vedrete». Il capo politico grillino si presenta al Mise per un altro vertice con Morra, Taverna e i capigruppo.
Sono le ore in cui matura un passo indietro per il ruolo di vicepremier. Ma sempre nello stesso video Di Maio apre al voto, ma non si espone. Forte della rassicurazione, almeno questa, di Di Battista che non dovrebbe sabotare oggi la conta con un post per il «no». La resa di Di Maio arriva nel pomeriggio, intorno alle 18. E a poco a poco, anche i fedelissimi, dal capogruppo Ciccio D'Uva alla viceministra all'Economia Laura Castelli escono con l'endorsement: «Voteremo sì». Oggi la conta, destinata a cambiare comunque vada, seppur con diverse gradazioni, la storia del Movimento.
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