Salvini, l'offensiva nelle piazze: ma ora teme il proporzionale

Salvini, l'offensiva nelle piazze: ma ora teme il proporzionale
di Mario Ajello
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Mercoledì 11 Settembre 2019, 07:11

La piazza, tante piazze. A cominciare da Pontida domenica prossima, e intanto quelle dell'Umbria dove si vota il 26 ottobre, e prima a Roma la conquista della piazza rossa di San Giovanni contro il «governo dei traditori». Non sono certo le piazze il problema di Matteo Salvini: quelle si riempiono eccome. Il fatto è che il Capitano deve superare la botta dell'estromissione dal governo, e come insegna la vicenda di Renzi certi lutti politici non si elaborano in breve tempo. Ieri è andata in scena al Senato l'esibizione della rabbia e dopo il match virulento con Conte il capo della Lega è apparso sollevato: «Bisognava dire la verità, bisognava dire a Conte che ha venduto la sua dignità per una poltrona».

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Dalla sua, di poltrona, al centro degli scranni del Carroccio, seduto tra Calderoli e l'ex ministro Centinaio, Salvini lancia le sue bordate contro «il presidente Conte-Monti», contro «la nuova mummia della Prima Repubblica». Ma come mai in aula, tra i ministri, ce n'è uno che non c'è e questo è Di Maio? Prima che Salvini parlasse, eccolo, mentre parla Salvini è fuori e poi rientra appena lui ha finito la sua infuocata arringa. I leghisti spiegano così il Di Maio assente: «Si vergognava, e aveva ragione a sentire tutte le cose vere sul suo comportamento e su quello di Conte». E però, mentre va giù duro contro il Pd e i suoi gridano «Bibbiano, Bibbiano», tatticamente la stessa mano che (celebre motto) «po esse fero o po esse piuma», sembra leggera su Di Maio e non cattivissima sui 5 stelle. Non che speri che si torni insieme, figuriamoci, ormai è finito tutto. Ma Salvini si augura che in M5S prima o poi accada qualcosa, che Di Maio («Non lo vedo affatto contento») capisca di essere finito in gabbia e depotenziato e che gli altri grillini («Quante facce lunghe, abbacchiate e vergognose»: e in effetti quella di Crimi è da funerale, quella di Giarrusso è da uno che diffida dei dem e del nuovo contesto e altri sono in questo mood) possano rendere difficile la navigazione del Bisconte. E appena esce la lista dei sottosegretari, i grillini che non avranno il posto faranno il diavolo a quattro. E i leghisti tifano per loro. «Avete barattato la fiducia per che cosa? Per fare la rivoluzione con Monti e Salvini?», dice loro Salvini. Ma il meglio arriva subito dopo: «Qualche ministro che in aula non c'è...». Mentre dice questo il microfono si spegne. Poi l'audio si riattiva ma la citazione a Di Maio non continua. A riprova, forse, che la sponda Luigi l'ex amico Matteo non vuole perderla del tutto. E che nel «governo dei malavoglia», come è stato ribattezzato il Conte 2, crepe e fratture potrebbero esserci.

RETROMARCIA
L'altro fronte è il proporzionale. Fino a qualche giorno fa, Salvini si diceva sicuro: «Vinciamo con qualsiasi sistema». Poi però deve aver capito che la trappola del proporzionale è scattata subito contro di lui, e in uno stato d'isolamento quello è il modello elettorale peggiore che ci si possa augurare. «Mai il ritorno al proporzionale. Serve il maggioritario, e chi ha un voto in più vince e governa». E così i presidenti leghisti di commissione sono stati incaricati di bloccare in tutti i modi il cammino della nuova legge elettorale. Salvini (che ha anche rilanciato il presidenzialismo) comincia a pensare di non farcela da solo a vincere e il maggioritario è quello che tiene insieme il centrodestra. E ora c'è anche il problema di evitare che Berlusconi, il quale è tentato, cominci a flirtare con il governo. «Il rapporto con Berlusconi non s'è mai interrotto, e lo vedrò a breve», dice Salvini. La sua vittoria alle regionali del 26 in Umbria nella Lega la danno per certa, anche perché Pd e M5S non hanno avuto il tempo di mettersi insieme. Ma se nel voto cruciale in Emilia i rosso-gialli trovano un'intesa, la partita considerata giù vinta potrebbe riaprirsi. E magari comincerebbero i problemi per il leader anche dentro al suo partito. Un tema, le dinamiche interne alla Lega, su cui Conte già ieri si è insinuato maliziosamente.
 

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