L'ultima chance di Di Maio: blindiamo questo esecutivo

L'ultima chance di Di Maio: blindiamo questo esecutivo
di Mario Ajello
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Sabato 2 Novembre 2019, 07:40 - Ultimo aggiornamento: 10:38

La scenetta si ripete spesso ormai. Chi parla con Di Maio, subito dopo riferisce a chi è incuriosito di quella chiacchierata: «Luigi ha capito che questo governo è la sua ultima chance. O smette di fargli sempre le pulci, di criticare Conte, di fare sponda con Renzi, oppure se questa sua opera di distinguo e distruzione va in porto lui che fine fa? La fine di quello che ha sprecato la sua ultima occasione politica». Dunque, ecco la svolta governista di Di Maio. Sembra quasi diventato uno zucchero rispetto all'esecutivo di cui fa parte (e che finora ha bacchettato) e dunque, obtorto collo, anche del premier da cui si sente superato e defraudato e al quale ha fatto il famoso sgambetto di Narni. Foto tutti insieme (ma io non t'abbraccio), così la sconfitta la paghi anche tu. Visto che si tratta per lui dell'«ultima chance», Di Maio al governo Conte non può più riservare il trattamento che gli rivolge Renzi, e la «strana coppia dei criticoni», «l'asse improbabile Luigi-Matteo» e le altre immagini che si erano andate formando intorno a loro due all'inizio dell'iter della manovra adesso paiono velocemente ingiallite, anche se in politica - come si sa - mai dire mai.

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LA TENAGLIA
Di fatto, la manovra finanziaria è diventata un bell'anatroccolo agli occhi di Di Maio. E ha preso ad accarezzarla così: Fatemi dire - scrive sul Facebook - che siamo molto soddisfatti rispetto all'inizio. Il governo ha fatto un ottimo lavoro di squadra, ma se è cambiata molto, se le multe sui Pos sono state rinviate e se altre tasse superflue sono state cancellate, è grazie al movimento 5 stelle». Ed è un modo, questo chiamata all'orgoglio di partito, non tanto per ribadire la forza della propria leadership (che ormai quasi non c'è più) quanto per lanciare un messaggio ai tanti parlamentari pentastellati in odore di scissione filo-Pd e filo-governo che tra le tante cose che non gradiscono del capo politico (dal solipsismo a tutto il resto) c'è anche l'atteggiamento di distanza dal governo di cui fa parte.
E specie l'ala mattarelliana dei 5 stelle (guidata da Giorgio Trizzino, sono una cinquantina e chiedono un congresso per la «fine dell'accentramento dei poteri» e per una «gestione più collegiale») non transige sulla difesa dell'attuale esecutivo.
 



Da questo gruppo pro-Conte, Di Maio comincia ad essere molto condizionato, e in più a tenerlo fermo c'è l'asse tra gli «ortodossi» legati a Grillo (Carla Ruocco, Nicola Morra, Luigi Gallo) e i fedelissimi di Roberto Fico, da Giuseppe Brescia a Riccardo Ricciardi. Il quale è magna pars nelle trattative e negli scontri per arrivare all'elezione del nuovo capogruppo alla Camera, dove vige lo stallo ma regna anche una certezza molto chiara agli occhi di Di Maio: nessun candidato osa richiamarsi a lui, perché rischierebbe di trovarsi il gruppo contro.

L'ultima occasione di Luigi sta dunque nel governismo. Anche perché le sue posizioni tiepide, i suoi smarcamenti, quell'assecondare le posizioni di Renzi, la non nettezza del sostegno hanno molto irritato Grillo in questo periodo. Per conservare il ruolo, per non essere scaricato dal fondatore e padre politico dell'alleanza rosso-gialla, Di Maio ha dovuto raddrizzare un po' la propria barra. Fino a dire, come ha detto l'altra sera all'assemblea con i senatori: «Questo governo deve andare avanti, nell'interesse non solo del Paese ma anche del nostro movimento». Che certamente, se si dovesse votare a breve (e Mattarella ha fatto capire che, taglio o non taglio dei parlamentari, nel caso cada Conte si va dritti alle urne), andrebbe incontro al disastro.

Alcuni parlamentari parlano infatti di sondaggi in cui M5S è sotto il 7 per cento. Cioè la quota Umbria. Proprio dopo il voto in quella regione, Di Maio ha capito che non può che legarsi mani e piedi al governo attuale. E ha capito anche che solo il proporzionale, ossia una legge che non lo spinga a fare alleanze politiche con il Pd, può dare garanzia al movimento di venire riconosciuto - e magari anche rivotato, invertendo l'attuale tendenza al baratro - per le proprie battaglie e per la propria identità.

LE BANDIERE
Guarda caso, ecco il rilancio sui più classici temi identitari del movimento. «La legge sull'acqua pubblica», è l'annuncio di Di Maio, dovrà essere la prima del 2020. Abbiamo la proposta pronta e entro gennaio si può approvare». Non solo. Ai suoi Di Maio ha detto ieri: «Serve far ripartire la battaglia sul conflitto d'interessi, quella che fa paura agli altri ma per noi resta una bandiera e la rilancia al più presto. Prima l'acqua pubblica, poi il conflitto d'interessi». E siamo appunto nel classico più classico. Entro aprile, dovrebbero anche svolgersi gli Stati Generali, per strutturare M5S sul modello dei Verdi europei: un mix tra movimento nuovo e partito tradizionale. Sarebbe una svolta. Ma intanto è in corso quella del governismo obbligato di Luigi. Paure interne - la rivolta dei suoi - e paure esterne - il tonfo elettorale e in Emilia non si prevede affatto che andrà meglio, qualche speranza in più c'è sulla Calabria - stanno dettando a Di Maio il cambio di prospettiva. E ne va della sua sopravvivenza.
 

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