Giuliani (Azimut): «Subito un governo forte per le riforme altrimenti faremo la fine dell'Argentina»

Giuliani (Azimut): «Subito un governo forte per le riforme altrimenti faremo la fine dell'Argentina»
di Umberto Mancini
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Lunedì 1 Febbraio 2021, 06:58 - Ultimo aggiornamento: 07:02

Pietro Giuliani, lei è il fondatore e il numero uno di Azimut, una gruppo finanziario che vanta un patrimonio complessivo in gestione di 60 miliardi e che opera in 17 Paesi. Dal suo osservatorio privilegiato come pensa che il nostro Paese possa uscire dalla crisi politica che si somma a quella legata alla pandemia? Solo legittime le preoccupazioni diffuse?
«Partiamo da una costatazione: la Germania, le aziende tedesche in particolare, hanno approfittato della pandemia per innovare spingendo sulle esportazioni, ed ora sono molto competitive. L'Italia avrebbe dovuto fare altrettanto. Invece si è puntato su misure assistenziali, interventi a pioggia e scelte demagogiche il cui unico effetto è accrescere il debito come il Reddito di cittadinanza e Quota 100».

Dunque si devono cambiare i timonieri. Qual è la sua opinione sul cosiddetto governo dei migliori, fatto di personalità in grado di imporre le riforme che l'adesione al Next Generation Eu richiede?
«Il Paese deve puntare sugli investimenti.

Con una politica che premi le imprese migliori, quelle che producono, creano ricchezza e posti di lavoro. Credo che con lo Stato-imprenditore, viste le esperienze del passato, non si vada molto avanti. Alitalia e Ilva sono lì a dimostrarlo. Quanto alla formula politica non entro nel dibattito. Di certo serve un esecutivo solido, fatto di personalità che non hanno nulla da perdere nell'agone politico, che accettano il ruolo per l'esclusivo bene del Paese. Una sorta di kamikaze generosi in grado di varare misure anche impopolari. Di certo non si può perdere altro tempo».

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Qualcuno già parla di deriva Argentina. Non le sembra esagerato per ora?
«Ribadisco: c'è bisogno di un governo che sappia cosa fare. Le risorse non mancano. Abbiamo circa 1.700 miliardi sui conti correnti e 2.500 miliardi di risparmio gestito contro un debito di 2.600 miliardi. Se si volesse, non mancano le modalità tecniche per ridurre il debito, impiegando i risparmi in attività produttive che esaltino la propensione all'innovazione».

Sembra facile, detta così.
«Bisogna farlo. La crisi legata alla pandemia ha rappresentato e rappresenta una sfida per accelerare i processi riformatori, seguendo nuove strade. Noi siamo rimasti troppo indietro».

E i mercati, come ai tempi della crisi dello spread durante il governo Berlusconi, potrebbero tornare a ballare sul rischio Italia...
«Bisogna, a mio parere, mettere in cima alle priorità l'interesse del Paese, come accadde ai tempi del governo Berlusconi. Penso, ma si tratta ovviamente di una ipotesi, ad un esecutivo dei capaci, in carica per sei mesi, con lo scopo preciso di fare tutto quello che in questi anni non è stato fatto: dalla riforma della giustizia alle infrastrutture, alla politica industriale. Alte personalità sganciate dalle logiche della politica, tecnici che non devono rispondere a questa o a quella fazione, pronti a mettere in pratica misure anche impopolari ma efficaci, utili allo sviluppo del Paese, alla modernizzazione».

Pensa a a nomi particolari: Cottarelli, Draghi, Colao?
«Di nomi e persone valide ce ne sono tante nel nostro Paese. Di certo chiamare Vittorio Colao per impostare il castello di riforme e poi abbandonare in un cassetto il lavoro proposto non credo sia utile né produttivo per nessuno. Serve un gruppo di persone che faccia cambiare passo al Paese».

Altrimenti...
«Altrimenti c'è un 70 per cento di possibilità di fare la fine dell'Argentina, in un avvitamento pericoloso a cui non voglio pensare. Occorre una scossa per evitare la progressiva deindustrializzazione del Paese, approfittando dei fondi europei e della voglia di riscatto di tanti imprenditori e cittadini».

Questa classe politica sarà in grado di farlo?
«Questa classe politica è stata eletta dagli italiani. Sono state fatte delle scelte. Credo tutti si debbano assumere la propria responsabilità. Se così accadrà, vedo margini per uscire da questa brutta crisi».

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