Crisi di Governo, Conte pensa alle dimissioni per convincere i responsabili

Crisi di Governo, Conte pensa alle dimissioni per convincere i responsabili
di Marco Conti
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Domenica 24 Gennaio 2021, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 09:55

Venerdì sono sfumati i “responsabili” raccattati qua e là. Ieri per bocca del Pd si sono eclissate le «elezioni subito» in caso di caduta del governo, ammesso che qualcuno vi abbia creduto più dei potenziali “voltagabbana”. Inoltre ad affacciarsi, non invitato, alla finestra di Palazzo Chigi è spuntato Silvio Berlusconi.

Il Cavaliere, dopo l’incontro con Gianni Letta, verga una lunga nota nella quale si dà disponibile, con Forza Italia, a sostenere un governo istituzionale per affrontare l’emergenza. Forse con la Lega ma certamente senza Giuseppe Conte alla guida. 


IL PUNTO
Per il presidente del Consiglio tre “campanelli” di allarme nel giro di poche ore e a ridosso della nuova sfida a palazzo Madama di metà settimana. Tre elementi - la mancanza di “responsabili”, la presa di distanza dei dem dal voto anticipato e la disponibilità del Cavaliere - ai quali il vicesegretario del Pd Orlando ne aggiunge un quarto che sa un po’ di ultimatum. Al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, Orlando chiede «un’iniziativa politica del governo» sul tema della giustizia per evitare «di andare a sbattere» a metà settimana quando in Parlamento si voterà la relazione del Guardasigilli. Una condizione che pesa, visto che viene dal predecessore di Bonafede al ministero, e che Orlando sa che può essere assolta sino ad un certo punto, visto come il M5S intende la giustizia. Limitarsi a parlare delle riforme del processo e delle risorse dedicate alla giustizia nel Recovery plan appare un po’ riduttivo anche per quella parte di Pd che non ha mai digerito la riforma della prescrizione.


Se quindi «l’iniziativa politica» sui contenuti non sarà in grado di spostare i voti che mancano, o non riuscirà a spaccare Iv tra chi vota contro e chi si astiene, per evitare di «andare a sbattere», a Conte non restano che le dimissioni prima del dibattito. Conte spera però ancora di poter superare lo scoglio di Palazzo Madama anche se il Pd gli manda a dire in buona sostanza che “se va sotto addio reincarico”. Un’eventualità che preoccupa anche molti 5S i quali temono che la battaglia per tenere fuori Renzi dal governo possa finire male e spingerli poi a dover sostenere - pur di evitare le urne - un governo tecnico magari ancora con Iv in maggioranza.
Il premier ufficialmente tiene duro sulla conta, ma nelle conversazioni avute ieri ha iniziato a valutare l’opzione delle dimissioni cercando di capire quali sono i margini che possono costringere Pd e M5S, dopo le dimissioni, a fare il suo nome al momento delle consultazioni con il Presidente della Repubblica.

Davanti Conte ha ancora tre giorni di tempo per dimostrare a dem e grillini di avere quel consistente gruppo di “responsabili” al Senato che sostiene di avere e di essere in grado di ricomporre, dopo le dimissioni, una nuova maggioranza senza Italia Viva e, soprattutto, senza Matteo Renzi. Valutazioni caute da parte dell’inquilino di Palazzo Chigi sulla praticabilità del “ter” che diventano insormontabili qualora dai due principali alleati non ricevesse sufficienti garanzie.

Eppure nei gruppi di maggioranza di Pd e M5S cresce un nervosismo che potrebbe portare a nuove sorprese in vista dei voti di mercoledì e giovedì. Il Pd, dopo settimane di sponda, ha iniziato a marcare il proprio territorio prendendo le distanze da quella corsa verso il possibile voto anticipato che non dispiacerebbe a Conte, soprattutto ora che pensa di avere un argomento (Renzi) che tiene compatto il M5S e lo salda a quella parte del Pd che vuole asfaltare il suo ex segretario. L’argomento del “partito di Conte”, usato per convincere i “responsabili”, irrita i dem ma non dispiace a quasi tutta la pattuglia grillina di governo e a quanti nel Movimento sono al secondo mandato.


Al Pd di Zingaretti rischia di risultare però complicato spiegare ai propri potenziali elettori, e non solo, che si preferisce consegnare il Paese alla destra sovranista di Salvini (attraverso le elezioni anticipate), pur di non darla vinta a Renzi che voleva fare del Pd quello che Macron ha fatto in Francia con il partito socialista. Argomento non potente, anche perché con i soli affezionati alla “ditta” non si va molto oltre. Per i dem il “ter” è l’unica strada che ha Conte per evitare che ogni passaggio parlamentare diventi una “conta”. Un “ter” senza Renzi. A patto che Conte tiri fuori i “responsabili”, i quali, per ora restano molto ben nascosti.

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