Elezioni Umbria, Conte sotto accusa: se salto non c’è nessun altro premier

Conte sotto accusa: se salto non c è nessun altro premier
di Marco Conti
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Lunedì 28 Ottobre 2019, 01:27 - Ultimo aggiornamento: 07:05

Sapeva bene come sarebbe andata, ma ha scelto di metterci comunque la faccia. Anzi, quando Nicola Zingaretti lo ha chiamato, Giuseppe Conte non ha esitato a presentarsi all’evento di Narni perchè «governiamo insieme e non c’è nulla di cui vergognarsi». Ora quella foto, fatta per aiutare due leader e un candidato in difficoltà, rischia di inchiodare il presidente del Consiglio ad una sconfitta annunciata, ma non meno pesante, la cui gestione non sarà facile, specie ora che in Parlamento arriva la manovra di bilancio.

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GLI AMICI
Eppure a palazzo Chigi non temono riflessi sulla tenuta del governo perché il test umbro era sì importante, «ma circoscritto» nelle dimensioni e combattuto non senza difficoltà dall’alleanza che ha sostenuto Bianconi. «La debolezza» del candidato «scelto all’ultimo momento» ha inciso - sostengono a palazzo Chigi - così come «un peso rilevante» l’hanno avuto le vicende giudiziarie del Pd e i tormenti dell’elettore grillino che solo un paio di mesi fa era con Salvini, contro Zingaretti, e che venerdì ha visto plasticamente capovolti amici e nemici ritrovandosi dalla parte del partito di Catiuscia Marini.

Malgrado la sconfitta umbra, Conte è deciso ad andare avanti nella formula che lo ha riportato a palazzo Chigi dopo l’esperienza gialloverde. Ci vorrà del tempo - sostiene - prima che l’alleanza venga percepita non come frutto dell’emergenza, ma come intesa strutturale. E il tempo è dalla sua parte anche se ora il problema saranno le reazioni dei partiti che sostengono l’esecutivo. E le preoccupazioni maggiori per Conte arrivano dal M5S e da Luigi Di Maio il cui rapporto con il premier procede tra alti e bassi. Chiudere con l’Umbria l’esperienza delle alleanze con il Pd, solo sulla carta permetterebbe ai 5S di avere maggiore libertà. Certamente finirebbe col dare ragione a chi, come Matteo Renzi, da quell’intesa ha preso le distanze, sostenendo che la legislatura - e forse non il governo - dovrà arrivare almeno all’elezione del nuovo Capo dello Stato. Ma per Conte distinguere tra la durata della legislatura e quella dell’attuale governo è pericoloso perché oltre a fiaccare l’esecutivo indebolisce i due principali partiti della coalizione a rischio di scissioni e fughe di novelli “responsabili”.

Sinora il presidente del Consiglio si è guardato bene dall’alimentare i sospetti di Di Maio sull’esistenza di una corrente “giuseppi” dentro il M5S. Eppure il numero dei lealisti cresce in proporzione alle incursioni renziane e all’inasprirsi nel M5S della polemica degli orfani di poltrone ministeriali. Il ruolo stabilizzatore di Conte potrebbe allora emergere perché la legislatura vada avanti, ma non ad ogni costo. Immaginare un altro esecutivo sulle macerie di un secondo esperimento fallito - e magari retto solo dalla voglia di decine di transfughi di non andare a casa - è complicato anche per uno come Mario Draghi che dal giorno della sue uscita dalla Bce viene evocato, spesso a sproposito.

Un crescendo di instabilità Conte lo aveva già messo nel conto e non tanto per l’atteso risultato umbro, quanto per l’arrivo in Parlamento della legge di Bilancio e del decreto fiscale. 5S e Italia Viva promettono battaglia, ma alla fine sarà un voto di fiducia a contare chi veramente ha voglia di far saltare il banco. Inizialmente sospeso tra il ruolo di premier-garante, che lo ha caratterizzato nella precedente esperienza di governo, e quello di presidente del Consiglio frutto di un’alleanza politica, Conte intende accentuare il suo peso, forte anche di un gradimento personale che lo colloca ben oltre i leader della maggioranza.

D’altra parte la sconfitta in Umbria è la sconfitta di Zingaretti e di Di Maio che, seppur con differente convinzione, hanno puntato sull’intesa che però sembra aver bisogno di altro tempo per poter sedimentare nei rispettivi elettorati. La durata dell’attuale governo potrebbe quindi diventare decisiva per tutti e due i leader che fuori della porta non hanno solo le ruspe salviniane ma anche una folta schiera di avversari interni e novelli scissionisti. Sullo sfondo resta ancora il Russiagate e quella richiesta di informazioni avanzata dall’amministrazione Trump sul comportamento degli ultimi due governi Pd. Conte, sia davanti al ministro della giustizia Usa William Barr, che durante l’audizione al Copasir, ha difeso tutti i governi che lo hanno preceduto. Non farlo o non presentarsi a Narni, avrebbe destabilizzato l’esecutivo più del voto di ieri.

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