Andreotti, i 100 anni del Divo Giulio: un manuale classico ma attuale per la politica di oggi

Andreotti, i 100 anni del Divo Giulio: un manuale classico ma attuale per la politica di oggi
di Mario Ajello
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Sabato 12 Gennaio 2019, 08:25 - Ultimo aggiornamento: 12:05

Si tende a dire: è un personaggio del passato e il secolo andreottiano è stato il 900. Questo è più che ovvio. Ma Andreotti è anche un classico e, come tutti i classici, utile per l'oggi. In cui servirebbe un Mister Wolfe il suo pragmatismo stracolmo di sottigliezze (il Divo Giulio era un ossimoro con la gobba e senza il collo, come nei bozzetti personalizzati che gli fece Mino Maccari e che erano appesi nel suo studio a Piazza in Lucina) sarebbe un ottimo manuale per evitare i velleitarismi molto contemporanei.
 

 


Il fatto poi che sia stato un personaggio enigmatico e luciferino («Per certe scelte che abbiamo fatto ci meritiamo l'inferno», anche se lui ha sempre preferito il Purgatorio) lo rende ancora vivissimo, pur essendosi lui sempre considerato «postumo». Oggi c'è un suo fake su Twitter che si firma @andreotti1919 (nacque 100 anni fa, il 14 gennaio) e scrive cose così: «Io facevo l'assistente di De Gasperi, quando vi abbiamo l'Europa unita. Ma se fate troppo casino, v'o buco sto pallone». Ecco, intanto, a lezione d'Europa si potrebbe andare da lui. E ha qualcosa di andreottiano - egli era capace di allearsi con tutti, dai comunisti alla destra - il progetto post-elezioni europee di maggio: la convergenza del Ppe post-merkeliano con i sovranisti alla Salvini, in chiave anti-socialista.

I PARALLELI
Giocando un po' con la storia, perché non considerare il compromesso storico un po' l'antesignano del patto giallo-verde? La dose di spregiudicatezza delle due operazioni può avere qualcosa di simile, se non fosse che nella visione dello statista Dc l'accordo con il Pci rientrava, più che in una convenienza soltanto pratica, in una comunanza di valori repubblicani e in una sintonia, tra carissimi nemici, sullo sviluppo del Paese. Diciamo che la spregiudicatezza dei due compromessi può somigliarsi (Di Maio ha anche rispolverato dopo le elezioni la formula dei «due forni», ossia alleanza con il Pd o con la Lega indifferentemente), ma il grado di consapevolezza politica tra l'andreottismo e il penta-leghismo è molto differente. Oggi Andreotti - quello che in Senato votò a favore dell'autorizzazione a procedere contro se stesso, per le accuse di mafia da cui uscì pulito o semi-pulito: ogni cosa che lo riguarda è doppia - può insegnare il senso delle istituzioni. Senza però, e questo lo rende simpatico, salire su una cattedra morale.

Perché ha ragione Rino Formica, memoria vivente della Prima Repubblica, nella sua diagnosi: «Noi socialisti lo abbiamo sempre giudicato sulla base dei fatti: questo è bene, questo è male. Non avevamo colto la sua appartenenza a un filone culturale che ha reso immortale la Chiesa, in cui ci sono il sacrificio di Cristo, la papessa Giovanna, i Borgia, l'Inquisizione, la diplomazia». La sua non trasparenza non significa che fu il capo del «doppio Stato», come il professionismo pistarolo sinistrese non ha smesso di pensare, immaginando la sua gobba dietro ogni malaffare anche stragista («Solo l'inizio delle guerre puniche non mi rimproverano»), ed era legata invece a una concezione del potere che non può non nutrirsi degli arcana imperi e deve tenere per sé i suoi segreti. Oggi però Belzebù (nomignolo su cui sorrideva o fingeva di farlo) correggerebbe se stesso e direbbe: non esageriamo con la trasparenza, ma la troppa anti-trasparenza ha contribuito alla fine della Prima Repubblica e ha allontanato i cittadini dalla politica. Da diavoletto, non avrebbe demonizzato nessuno.

Andreottianamente, come stanno facendo i giallo-verdi, anche il titolare del marchio in questa fase tra Putin e Trump sceglierebbe entrambi. Mentre la sua tenuta da arabo (si veda la foto in pagina), che già allora gli rovinò i rapporti con gli Stati Uniti, è ormai fuori moda. Così come, per fortuna, il suo clericalismo. E anche il gioco da cui è uscito pulito anzi semi-pulito con il contesto mafioso, usato ai fini politici, è quanto di più improponibile. La sua piccola silhouette conteneva però un concentrato di genio. E il genio non scade.
 

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