Prove di governo a destra. Giorgia Meloni: il Tesoro a FdI

Da Panetta a Descalzi, i nomi individuati per rassicurare Unione europea e mercati

Prove di governo a destra. Meloni: il Tesoro a FdI
di Mario Ajello
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Domenica 31 Luglio 2022, 02:02 - Ultimo aggiornamento: 1 Agosto, 08:09

Nella Lega il mood è questo ed è quello che spiega l’uscita di Salvini sui ministeri da spartirsi subito: «La Meloni vuole i posti importanti e crede di cavarsela lasciando il Viminale a Matteo, l’Agricoltura a Centinaio e qualche altro strapuntino». Il braccio di ferro è sui ministeri economici. Ovvero le casematte pesanti, sia in termini di spesa sia perché sono quelli in cui l’Italia a (eventuale) guida Giorgia Meloni si gioca la credibilità nazionale e internazionale, la sua compatibilità con le élites di Bruxelles e la sua rispettabilità presso i mercati.

I ministeri che Salvini insieme a Berlusconi non vorrebbe vedere, almeno non tutti, nelle mani dell’alleata-rivale sono quelli su cui Giorgia punta con particolare determinazione e al dossier sta lavorando da tempo insieme a Guido Crosetto.

Non è passata inosservata la fitta conversazione, cordiale e non certo la prima, anzi c’è un’assiduità di dialogo, intrattenuta l’altra sera alla festa di compleanno di Rotondi dalla leader di FdI con Fabio Panetta: economista ultra-accreditato a livello mondiale, ex direttore generale del Tesoro, attuale membro del board della Bce. Uno che avrebbe potuto figurare nel governo Draghi, stimato dall’ex premier che con la Meloni ha intrattenuto e intrattiene rapporti di stima (con lei ha sempre parlato pur essendo la leader dell’opposizione, con Salvini che è stato suo ministri invece molto meno) e proprio la continuità nella gestione dell’economia e del ministero preposto tra il futuro governo di destra e quello appena trascorso e condotto dall’ex banchiere europeo è uno dei tratti che per tanti motivi, a cominciare dal non volersi mettere contro i poteri che contano, Giorgia vorrebbe mantenere. Già sono prenotati da FdI, ed è questo che non va giù a Salvini, due posti pesantissimi. 


Per l’Economia, la Meloni pensa - in modalità standing internazionale inattaccabile, anti-rischio impennamento dello spread - a Panetta ma anche a figure che pur non essendo Giulio Tremonti, difficile che torni in via XX Settembre e più probabile per lui un incarico del tipo guida della Consob, siano professori. Circola molto il nome, accreditato anche in ambienti draghiani, di un esterno a FdI, docente di Economia all’università di Foggia e alla Luiss: Cesare Pozzi. Una personalità, origini di Varese e di cui la leader della destra ha massima stima, poco nota fuori dai giri accademici e tecnici? Sì. Ma alla obiezione Giorgia replica: «Se i grillini e gli altri sono riusciti a mettere un perfetto sconosciuto a capo del governo, per due volte, cioè Conte, perché io non posso mettere Pozzi a via XX Settembre?». 


NORD E SUD
Si tratta naturalmente ancora di scenari prematuri, ma allarmanti presso la Lega e dalle parti di Berlusconi che amerebbe per sé la poltrona degli Esteri o per uno suo (e invece anche lì, dove un leghista per via del putinismo non ci sarà mai, FdI vuole piazzare un personaggio di peso e di partito: Giulio Terzi di Sant’Agata, atlantista doc ed già numero uno della Farnesina nel governo Monti). Però quel che temono i partner è l’attivismo ministerialista di Giorgia. La cui linea è quella della «massima competenza». Un nome cruciale che circola tra i consiglieri della Meloni è quello che piacerebbe allo Sviluppo Economico: Claudio Descalzi. La centralità della questione energetica, la sua professionalità e il super-potere dell’ad dell’Eni il cui terzo mandato arriverà a scadenza in primavera (ottimi rapporti con Giorgia e anche con Salvini, che su questo non farà problemi) ne fanno un possibile top player del futuro governo possibile con in mano anche tutto il settore della digitalizzazione e della transizione ecologica.

Energia e industria: in hoc signo Descalzi. Oppure (improbabile Carlo Bonomi) Matteo Zoppas è in pole per il dicastero di Via Veneto, rampollo della dinastia degli elettrodomestici e già presidente degli industriali veneti, a oggi è figura di raccordo tra FdI e i piccoli imprenditori, che nel nord-est hanno sempre avuto la Lega come referente. Adesso FdI come «partito produttivista», e come partito che sul fronte bancario e dei grandi interessi industriali anche settentrionali (per il dicastero del Mezzogiorno in pole position Raffaele Fitto) ha lavorato moltissimo per accreditarsi, è quello che il Carroccio considera temibilissimo. E a cui non vuole lasciare troppo terreno nelle materie e nelle poltrone pesanti, facendo la figura del partito cadetto che si limita a inseguire gli immigrati.
 

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