Più che una conferenza di fine anno come tradizione vorrebbe, quella appena conclusa da Giorgia Meloni è stata «di inizio mandato». Destreggiandosi tra le 43 domande dei cronisti («C’è una fine?» chiede scherzosamente dopo quasi tre ore, «È come Telethon…»), il presidente del Consiglio si è infatti soffermata maggiormente sulla pianificazione della legislatura appena iniziata.
Giorgia Meloni, i punti chiave: dalla Manovra a Expo 2030
Archiviata proprio in mattinata una «Manovra politica» con «piena fiducia negli alleati» e in attesa di comprendere come comportarsi nei confronti della nuova ondata Covid («Sì a distanziamento, mascherine e ai vaccini per fragili e anziani»), Meloni ha indicato come priorità del 2023 l’avvio della riforma istituzionale per il presidenzialismo («A gennaio interlocuzioni tra ministra Casellati e opposizione») e la rincorsa verso novembre per provare a far vincere a Roma la competizione per Expo 2030.
La guerra in Ucraina e la partita in Europa
Accanto al sostegno all’Ucraina e alla conferma dell’impegno sui contributi Nato, lo spazio maggiore è infatti inevitabilmente destinato ai dossier economici. E così
il Mes («nessuno ricorrerà al fondo, condizioni troppo stringenti; la Ue dovrebbe sbloccare i fondi del Meccanismo europeo di stabilità per altre iniziative»), la partita in Europa per la revisione del Patto di stabilità («deve essere più concentrato sul tema della crescita, a cominciare dallo scomputo della spesa per gli investimenti dal deficit»), Tim («puntiamo a controllo rete e a mantenere livelli occupazione») e Mps («siamo al lavoro su dossier per uscita ordinata Stato e più poli bancari»).
La giustizia e la leadership femminile
Sollecitata dai giornalisti, Meloni ha tracciato anche il profilo di una riforma della giustizia, per cui «serve un tagliando», partendo dalla separazione della carriere e da una nuova gestione delle intercettazioni.
Infine un paio di passaggi più “personali”. Dapprima a difesa dalle polemiche del MSI («Il Movimento Sociale Italiano è stato un partito della destra democratica e repubblicana, ha partecipato all'elezione dei presidenti della Repubblica, pienamente presente nelle dinamiche democratiche di questa nazione ed arrivò nel 1994 al governo») e poi del suo ruolo nell’avanzamento della leadership femminile nel Paese: «Ho avuto sempre l'impressione che noi donne fossimo le prime vittime dei tabù che ci siamo autoimposte: alcune vittorie considerate tali, in realtà, non lo erano. In politica si pensava a un campo di battaglia alternativo, come se ci fosse un altro campionato. Ma non bisogna aspettarsi che gli altri ti regalino qualcosa. No è un partito femminile quello in cui un uomo ha deciso che tu fai politica. Se vuoi essere un leader ci devi diventare lavorando dal basso, non dall'alto. Non ci si può accontentare delle quote».
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