Gentiloni: «Ora più forza alla Ue. Energia, entro il 2027 autonomi da Mosca»

Il commissario europeo all’Economia: vittoria di Macron occasione da non sprecare

Gentiloni: «Ora più forza alla Ue. Energia, entro il 2027 autonomi da Mosca»
di Barbara Jerkov
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Martedì 26 Aprile 2022, 00:29 - Ultimo aggiornamento: 21 Marzo, 12:15

Cosa significa la vittoria di Macron per l’Europa, presidente Gentiloni?
«Molto. La scena dell’altra sera con l’Inno alla gioia e le bandiere europee, è abbastanza unica in un voto nazionale di un grande Paese europeo. Macron ha vinto, e ha vinto alla grande: è la prima volta in vent’anni che un presidente francese viene rieletto e non era scontato. E ha vinto mettendo l’Europa al centro del suo programma».


La prima telefonata di Macron è stata per Scholz, il binomio franco-tedesco si conferma centrale nonostante le divergenze degli ultimi tempi sulle sanzioni alla Russia. Resta questo il perno dell’Unione, e che ruolo può giocare invece l’Italia?
«L’Europa nasce e vive con questo rapporto speciale tra Francia e Germania, è un fatto storico che non va mai dimenticato.

Non vuol dire che tra loro non ci siano state e non vi siano differenze di opinione, ma non mettono in discussione questo rapporto che è al centro dell’uscita dalle guerre del Novecento e della costruzione europea. Quanto al ruolo dell’Italia, soprattutto dopo la Brexit è cresciuto e può crescere ancora grazie alla personalità di Mario Draghi. La vittoria di Macron può rafforzare il progetto europeo, ma tutti devono avere in mente che l’orizzonte temporale per avviare questo rilancio è il 2022. Anche grazie al risultato francese la grande occasione per fare importanti passi avanti è adesso».

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A questo proposito, Prodi sul nostro giornale scrive che l’ultimo mandato di Macron passerà alla storia solo se il presidente francese assumerà l’iniziativa di dare finalmente attuazione a una politica estera e di difesa europea. Condivide questa analisi? E pensa che possa essere la volta buona per questo upgrade dell’integrazione Ue?
«Prodi ha ragione, perché o questa risposta viene data oggi o non avremo nuove occasioni. E ha ragione perché Macron è stato sempre il principale promotore di questa ambizione. Le parole chiave della fase che si apre sono autonomia strategica dell’Europa. Per la prima volta la Germania ha manifestato disponibilità. Francia, Germania, Italia e altri Paesi Ue possono approfittarne. Ora o mai più, appunto».


Forse anche sfruttando una debolezza dei sovranisti anti Ue? Con la sconfitta di Le Pen e di Jansa in Slovenia, l’ondata euroscettica in Europa ha esaurito la sua spinta?
«Il sovranismo non ha avuto una buona stagione in questi tempi di crisi. La spiegazione è abbastanza ovvia: in un periodo di acque agitate, prima dalla pandemia poi dalla guerra, è difficile sostenere che ciascuno possa navigare con la propria barca nazionale, magari armata contro la barca del vicino. In un mondo così agitato c’è bisogno di una grande potenza europea e questa potenza europea è in contraddizione con l’idea del nazionalismo populista. Detto questo, dobbiamo sapere che in democrazia non si vince per sempre. Ho negli occhi le immagini dell’assalto a Capitol Hill a Washington, e ricordo che una stabilità pluridecennale è propria delle autocrazie. Nelle democrazie la battaglia si vince e si perde continuamente. Quindi sì, l’ambizione Ue è favorita dal fatto che i sovranisti non hanno avuto una buona stagione, ma in democrazia nulla è mai per sempre».

Le maggiori economia europee, incluse l’Italia e la Germania, rischiano a causa della guerra due trimestri consecutivi di crescita negativa. L’allarme è del Fmi che mette in guardia sulle «severe conseguenze» economiche per l’Europa. Per l’Italia il governatore Ignazio Visco è però meno pessimista. Che cosa ci dobbiamo aspettare davvero?
«L’Fmi ha ridotto le sue previsioni di crescita per la Ue portandole al 2.7% per il 2022. Io presenterò le nostre previsioni economiche aggiornate il 16 maggio. C’è un rallentamento della crescita - la prevedevamo al 4% per quest’anno - e certamente dovremo rivederla al ribasso. Ma se questo rallentamento porterà a una stagnazione è presto per dirlo, perché ci sono alcuni aspetti positivi ereditati dalla seconda parte del 2021, che sono per esempio un livello molto basso di disoccupazione e un livello di accumulo di risparmi molto elevato. Il rischio di stagnazione dipenderà molto anche dalla durata della guerra: più sarà prolungata maggiore sarà l’impatto sulla fiducia di investitori e consumatori e si manterrà alta l’inflazione. Vedremo. E’ chiaro che tutti ci auguriamo che la guerra non duri a lungo, innanzitutto per ragioni umanitarie, ma anche economiche». 


Lei ha detto: «Sulle sanzioni non ci sono tabù, ma devono danneggiare l’economia russa». C’è tuttavia chi sostiene che per il momento il maggior danno lo stanno subendo alcuni Paesi europei. Come se ne esce?
«E’ bene dire con chiarezza che il danno che sta subendo l’economia europea deriva dall’invasione militare russa in Ucraina, non dalle sanzioni. Le sanzioni stanno danneggiando in maniera rovinosa l’economia russa. Ci sono dei costi anche per noi, per questo dobbiamo pensare a interventi che aumentino il danno per l’economia russa senza incrementare troppo i costi per noi».

Su un divieto totale dell’import energetico dalla Russia da parte dell’Europa, la segretaria al Tesoro Janet Yellen ha sorpreso per la sua cautela. Che però è stata immediatamente rilanciata dalla Bundesbank e dal cancelliere Olaf Scholz. Contrariamente a quanto avrebbe voluto il presidente Biden, stiamo perciò andando verso uno stop graduale?
«Ho discusso la settimana scorsa a Washington con Janet Yellen proprio di questo argomento: è assolutamente determinata a trovare le modalità che provochino il maggior danno all’economia russa e i minori costi per le nostre economie, in particolare quelle europee. Perché è chiaro che per gli Usa la dipendenza dall’energia russa è marginale, ma sono attenti alla collaborazione transatlantica che è indispensabile per far funzionare le sanzioni. Questo può tradursi in ipotesi di sanzioni sull’energia di vario tipo».

Come il tetto ai prezzi che auspica l’Italia?
«Sarebbe certamente un modo per infliggere un danno alla Russia riducendo i rischi per noi. Sono misure di cui stiamo ragionando in questi giorni. La Commissione è stata incaricata tra poco meno di un mese di formulare una proposta ai governi europei».

E si può dire che si sta andando appunto nella direzione di un tetto ai costi? Ci sono Paesi dell’Unione che sono contrari...
«Questa è certamente tra le proposte sul tavolo. Ma non dobbiamo vedere questi temi solo in chiave di divergenze tra Stati membri, ci sono anche da valutare molto seriamente gli scenari che queste decisioni comportano. La fissazione di un prezzo massimo può avere il vantaggio di danneggiare le esportazioni russe senza produrre impennate di prezzo che avrebbero forme di embargo totali. Ma bisogna anche valutare come, dal punto di vista giuridico ed economico, eventuali proposte di prezzo massimo possono essere gestite. Ed è questo il lavoro che la Commissione sta appunto facendo».

Tra un mese, il 23 maggio, il RePower Ue sarà probabilmente una realtà. È possibile avere qualche dettaglio sui contenuti?
«Poiché l’evoluzione dei vari pacchetti di sanzioni coinvolgerà, come è probabile, l’energia, stiamo lavorando in questa direzione. Innanzitutto riducendo la dipendenza da petrolio e gas russi di due terzi entro la fine di quest’anno, per portarla a zero entro il 2027. Un secondo obiettivo è costruire una strategia che non rallenti la transizione climatica, rischio che si corre di fronte all’impennata dei prezzi. Per questo la Commissione cercherà di mettere sul tavolo proposte che invece confermino la transizione climatica, poiché è ovvio che ci possono essere delle passerelle temporanee ma la strada per ridurre la dipendenza dall’energia russa è quella delle rinnovabili. E su questo non possiamo alimentare equivoci o una nuova stagione del carbone per raggiungere l’autonomia».

Per quanto graduale, lo stop alle forniture russe procurerà danni gravi alle principali economie europee. In Italia sono molti a chiedere una revisione degli obiettivi del Pnrr alla luce della guerra e dello choc energetico. Lo ritiene possibile? O è immaginabile a questo punto un vero e proprio Next Generation Ue energetico?
«Sono due temi distinti. Il primo è: ci sono le condizioni per un fondo comune per far fronte all’obiettivo dell’autonomia energetica? Naturalmente la discussione non sarà facile, ma penso non sia giusto escludere questa eventualità, poiché ancora una volta siamo di fronte a uno choc esterno, non provocato da politiche economiche di singoli Paesi. C’è una base quindi per ragionarci. Quanto al Pnrr, qui a Bruxelles stiamo discutendo di alcune modifiche parziali, limitate, molto mirate. Inflazione e conseguenze della guerra le richiedono. Ma il mio invito è: non concentrarsi su queste limitate modifiche, ma sull’attuazione del Pnrr. Prima parlavamo del rallentamento dell’economia europea: l’antidoto a questo rallentamento è proprio il Pnrr. Abbiamo in Italia 200 miliardi da spendere nei prossimi quattro anni. Avendo esperienza della nostra Pa so quanto sarà difficile. So anche quanto il governo Draghi stia lavorando per riuscirci. Ma ricordiamoci che la risposta che stiamo cercando per far fronte ai rischi di stagnazione, almeno per un Paese come l’Italia, ce l’abbiamo già e si chiama, lo ripeto, Pnrr». 

Infine il patto di stabilità, presidente: si è parlato di un suo congelamento anche per tutto il 2023. E’ verosimile che la rigidità che conoscevamo sia di fatto superata e destinata ad essere archiviata definitivamente?
«Prima dell’invasione russa pensavamo di concludere la sospensione del Patto a fine anno. Ragioneremo sulla base delle nuove previsioni economiche sulla possibilità di prolungare la sospensione. La situazione economica è di nuovo seriamente in difficoltà. Decideremo prima della pausa estiva. Noi abbiamo bisogno di regole comuni: un’unione più ambiziosa non può essere à la carte. Ma queste regole comuni vanno aggiornate. I due obiettivi devono essere quello di rendere i necessari percorsi di riduzione del debito più graduali e di facilitare gli investimenti. Sento che le distanze di opinioni si sono ridotte ma non sono ancora annullate e lavoro per costruire una proposta che abbia il sostegno necessario. Io sono ottimista».

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