Gasparri: «Ecco i paletti per cambiare la mia legge»

Gasparri: «Ecco i paletti per cambiare la mia legge»
di Maurizio Gasparri
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Sabato 5 Settembre 2020, 01:27 - Ultimo aggiornamento: 11:10
Quando fu approvata la riforma del sistema radiotelevisivo guardammo avanti e tenemmo conto dei problemi allora rilevanti. Oggi una decisione europea modifica una norma di quella che è stata battezzata la “Legge Gasparri”. Quelle norme hanno introdotto dei limiti per le imprese che operano in questo campo. Fummo criticati perché dicemmo che tv, radio, giornali, pubblicità, libri, internet dovessero essere considerati un insieme: il sistema integrato delle comunicazioni (Sic). Oggi basta avere uno smartphone per capire che con un unico mezzo si può parlare o scrivere, si può accedere a qualsiasi contenuto della rete, si possono leggere articoli, libri, si può guardare la tv e altro.
 
Il Sic, quindi, ha preceduto ciò che si è verificato. La legge ha stabilito che nessuno può possedere più del 20% del Sic. L’apertura del mercato c’è stata. In quegli anni è nata Sky, altre televisioni hanno trovato nuovi editori. Non parliamo poi del campo sterminato della rete. Fu fissato anche un altro limite. Allora alcuni temevano che Berlusconi potesse acquisire Telecom. Questi timori fecero introdurre un altro tetto antitrust. Si decise in Parlamento che chi controllava il 40% della telefonia non potesse avere più del 10% del Sic. Una norma che impediva a Mediaset di poter acquisire Telecom e anche il contrario.

Oggi l’Europa dice no a questo limite. Ma quando si alzano le sbarre del passaggio a livello il transito si può svolgere liberamente in una direzione e nell’altra. Se Tim, e Vivendi, suo primo socio, possono guardare con più opportunità al mercato televisivo, vale pure il contrario. Mediaset è infatti cresciuta in Borsa. E potrebbe, se lo volesse, inserirsi nella vicenda rete a banda larga. Prima non poteva farlo, ora in teoria può. La modifica del limite antitrust, che fu voluto per contenere Mediaset, apre nuove sfide. Non dobbiamo essere soltanto terra di conquista.

Perché non può nascere dall’Italia una multinazionale che, unendo telecomunicazioni e informazione, affronti la sfida di mercati più vasti? Nuove questioni debbono essere regolamentate. Ma si evitino errori che farebbero colonizzare l’Italia e indebolirebbero aziende che invece devono crescere. Oggi dominano i colossi Amazon, Facebook, Apple, Google, che crescono a dismisura, eludendo gli oneri fiscali. La concorrenza diventa impari. Non basta una debole web tax, che l’Italia tarda a mettere in pratica. Serve un fisco che faccia pagare ai giganti le tasse oggi evase. Altrimenti distruggeranno imprese, offrendo informazione gratuita sulla rete, “rubando” contenuti a giornali e altri mezzi di comunicazione. Bisogna tutelare il diritto d’autore, come impone la direttiva europea che l’Italia deve applicare da tempo. Bisogna evitare la colonizzazione da parte dei giganti del web, che operano nel mondo dell’informazione, dell’editoria, della televisione e del cinema. Nessuno vuole fermare il progresso. Ma se un giornale o una televisione devono affrontare mille oneri, non è giusto che chi gli fa concorrenza non paghi tasse.
 
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