Al centro dell’agenda del G20 in corso a Roma tra oggi e domani, c’è il tentativo di siglare un accordo che rinnovi l’impegno a contenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi e smorzare le emissioni di CO2 o l’impatto del carbone sulla produzione di energia elettrica. Qualora venga raggiunta un’intesa si tratterebbe di un assist significativo in vista della conferenza sul clima dell’Onu al via domenica a Glasgow. La strada però è in salita.
Clima. L’obiettivo: stop centrali a carbone Ma Xi non ci sta
Gli obiettivi principali ormai li conoscono tutti. Sono messi nero su bianco da anni e si ritrovano nel programma della Cop26, cioè la conferenza Onu sul cambiamento climatico che inizierà da domani a Glasgow e di cui il G20 - che detiene il 75% delle emissioni globali - è in parte un’anticipazione. La salvezza del Pianeta, in estrema sintesi, passa per l’azzerare le emissioni nette globali entro il 2050 e per limitare l’aumento delle temperature a 1,5°C. Eppure un accordo reale è tutt’altro che dietro l’angolo. Se è vero che in Scozia le Nazioni unite definiranno degli obiettivi concreti di decarbonizzazione per raggiungere i target finali, l’intesa di Roma rischia di essere bollata come “dimezzata” sul clima. Il summit avrebbe dovuto diradare le incomprensioni tra i leader mondiali annichilendo le tensioni tra il gruppo del G7 e quello dei Bric (Brasile, Russia, India e Cina), che hanno la sensazione che li si provi a fermare per altri motivi.
Questa possibilità però appare in salita. A pesare sono in primis le assenze annunciate di Putin e Xi Jinping (in videoconferenza), e in secondo luogo il rifiuto opposto dalla Cina (e supportato da India e Russia) al rafforzamento degli impegni per limitare l’aumento della temperatura e soprattutto contro le centrali elettriche a carbone, specie quelle all’estero.
I paesi del G20, secondo gli sherpa, sarebbero pronti ad impegnarsi a porre fine ai finanziamenti internazionali per le centrali elettriche a carbone in Paesi terzi, ma stanno faticando ad accordarsi su una data certa e su quali strutture coinvolgere (la Cina è disposta a intervenire sulle nuove, non su quelle già esistenti).
LE POSIZIONI
C’è la Germania, da sempre in prima fila, ma ora priva della capacità di mediazione di Angela Merkel. La Francia di Macron, già protagonista con gli accordi di Parigi e gli attacchi al Brasile per la deforestazione in Amazzonia, sembra più concentrata a ricucire con Biden per lo sgarro dei sottomarini. Il canadese Justin Trudeau, fresco di rinnovo, è sempre propositivo ma il Paese è tra i più dipendenti dai combustibili fossili. E poi gli “assenti-protagonisti” come Putin e Xi. Ma anche le posizioni contraddittorie del brasiliano Bolsonaro - debolissimo in vista delle elezioni del 2022 - e soprattutto dell’indiano Modi. Premier di uno dei Paesi che inquina di più in assoluto, non siglerà alcun accordo. Anzi, vorrebbe nuovi parametri che tengano conto delle emissioni pro capite per sfruttare la mole della popolazione indiana e porsi in vantaggio nelle trattative.
Energia. Estrarre più petrolio: la richiesta Usa per fermare i rincari
Transizione ecologica sì, ma con un occhio ai prezzi delle materie prime e alle tasche dei consumatori. Alla Nuvola di Fuksas ci saranno tutti i protagonisti della nuova crisi dell’energia, maggiori produttori e principali consumatori, dal vivo o in collegamento. Il summit di Roma, insomma, offre la prima vera occasione per un confronto multilaterale sull’allarme rincari che sta minacciando la ripartenza economica e i conti di famiglie e imprese. Non sarà facile, tra petrolio che non esce di scena, gas che manca e gran ritorno del nucleare. Sul dossier energia, del resto, ogni Paese gioca la propria partita. Le delegazioni nazionali arrivano però all’Eur con delle chiare posizioni di partenza, senza dimenticare che sullo sfondo c’è l’impegno per la progressiva decarbonizzazione e per contenere il riscaldamento globale entro 1,5°, che i leader ribadiranno da domani alla Cop26 sul clima di Glasgow.
Sguardo di lungo termine, ma adesso c’è un’emergenza da risolvere. La Casa Bianca non ne fa mistero: Joe Biden intende parlarne con i suoi colleghi, dopo che nelle scorse settimane il petrolio ha toccato il record degli ultimi sette anni. Attorno al tavolo del G20, del resto, siedono pure i Paesi dell’Opec+, il gruppo guidato dall’Arabia Saudita che riunisce i principali produttori di greggio, allargato anche alla Russia: a inizio ottobre avevano raggelato le speranze di Europa, Stati Uniti e India in un incremento di 600-800mila barili di petrolio al giorno, decisione che avrebbe contribuito a evitare un’altra fiammata in bolletta. Al contrario, l’Opec+ ha mantenuto fede all’impegno di aumentare la produzione al ritmo di “soli” 400mila barili al giorno pure a novembre, non uno di più; scelta che con ogni probabilità confermerà anche nella riunione di giovedì prossimo.
L’EUROPA
Profilo Abbonamenti Interessi e notifiche Newsletter Utilità Contattaci
Logout