G20, clima: cento miliardi in arrivo e stop agli aiuti al carbone. Ma sulle emissioni è stallo

G20, clima: cento miliardi in arrivo e stop agli aiuti al carbone Ma sulle emissioni è stallo
di Francesco Malfetano
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Domenica 31 Ottobre 2021, 22:15 - Ultimo aggiornamento: 30 Settembre, 11:25

Non è stato il disastro totale che si prospettava sabato sera, a metà lavori del G20, ma rispetto all’emergenza climatica è davvero impossibile concepire il summit di Roma come un successo pieno. L’accordo raggiunto dai grandi della Terra alla Nuvola infatti è stato via via reso più generico, diventando solo un piccolo passo in avanti verso la Cop 26 appena iniziata a Glasgow. Fanno fortunatamente eccezione l’obiettivo ambizioso di piantare mille miliardi di alberi entro il 2030, l’impegno a mobilitare «finanziamenti internazionali pubblici e privati per sostenere lo sviluppo di un’energia verde, inclusiva e sostenibile» e la fine «ai finanziamenti pubblici internazionali per nuova produzione di energia da carbone entro la fine del 2021». Iniziative lodevoli, ma non determinanti come ci si aspettava.

 

GLI OBIETTIVI

Nonostante le difficoltà già note alla vigilia infatti, nei giorni scorsi osservatori ed esperti hanno sostenuto che il governo guidato da Mario Draghi (che detiene la presidenza a turno del G20) puntava ad inserire nell’intesa la neutralità climatica - cioè il saldo zero delle emissioni nette - entro il 2050, e a mantenere entro la stessa data l’aumento di temperatura globale medio al di sotto di 1,5 °C, come già deciso a Parigi nel 2015.

Non solo, c’è stato anche chi vedeva vicina la possibilità di includere la riduzione del 30 per cento delle emissioni dovute al metano entro il 2030 (rispetto ai livelli del 2020).

Ebbene, nulla di tutto ciò è finito nella dichiarazione finale del vertice capitolino. Nel testo ad esempio, si afferma che «mantenere l’obiettivo di 1,5°C a portata di mano richiederà azioni significative ed efficaci e l’impegno da parte di tutti i Paesi». In tutta evidenza una direttiva vaga che peraltro fa riferimento ad un obiettivo, quello degli 1,5 gradi centigradi, già indicato come auspicabile nel 2015, e che quindi avrebbe avuto senso solo se accompagnato da scadenze precise e obiettivi minimi. Così non è stato. 

Un insuccesso che fa il paio, appunto, con la dicitura «entro o attorno la metà secolo» che accompagna il raggiungimento dell’obiettivo «emissioni zero». Passaggio questo, che oltre a testimoniare come in realtà si stia affrontando malamente l’emergenza climatica, sottolinea come il G20 sul clima sia stato messo sotto scacco da Cina, Arabia Saudita e India. Paesi che da soli rappresentano quasi il 40% delle emissioni globali e che, seppur preoccupati dal riscaldamento globale, non solo rimandano i loro obiettivi al 2060 ma invitano anche gli stati occidentali a muoversi per primi per non danneggiare le loro economie.

 

I FONDI

Posizione questa, comune a tutti i paesi in via di sviluppo. Non a caso il G20 ha anche rinnovato l’impegno a versare 100 miliardi di dollari in loro favore per la transizione energetica. Un intervento che però non è proprio una novità. La prima indicazione in tal senso infatti, risale al 2009. E peraltro quei 100 miliardi promessi, non sono mai arrivati. Nel 2019 ad esempio ci si è fermati a 80. Non solo, come si evince dai dati del rapporto Ocse intitolato ‘Finanziamento climatico fornito e mobilitato dai Paesi sviluppati nel 2013-2018’, spesso quelle risorse - oltre ad essere stanziate solo in parte - sono anche erogate sotto forma di prestiti. Una situazione paradossale che l’intervento del G20 però, dovrebbe aver sanato.

All’interno della dichiarazione, trova spazio anche un generico riferimento agli Ndc, e cioè gli impegni assunti liberamente da ogni Paese (ad esempio la Ue, trasformandolo anche in legge, ha promesso di ridurre le proprie emissioni del 55 per cento rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030). Questi, già non esaltanti per tutte le nazioni coinvolte, secondo il G20 devono essere portati a compimento tenendo «conto delle circostanze nazionali». Tradotto: vi si può derogare. Eppure secondo gli enti di controllo dell’Onu, sommando tutte le iniziative messe in campo da ogni singolo Paese, entro il 2030 le emissioni di CO2 rischiano di aumentare del 16%. Non proprio ciò che si definirebbe un successo. 

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